di Jorge Altamira
In meno di dieci settimane il chavismo è passato dalla vittoria elettorale alle elezioni municipali,
ad una crisi politica il cui sviluppo porta inevitabilmente ad un cambio di regime politico; né il governo può continuare a governare come ha fatto fino ad ora, né l’opposizione trova un metodo che la possa mantenere unita. La disorganizzazione economica ha raggiunto proporzioni gigantesche, cancellando nella pratica i risultati raggiunti da queste elezioni, mentre l’opposizione ha fallito nel proposito di convertirle in un plebiscito che avrebbe causato la caduta del governo. Si è così creata un’impasse nel suo insieme gigantesca.
Il governo trionfante è incapace di bloccare l’ implacabile disastro economico e la conseguente irruzione di una rottura sociale, mentre l’opposizione incitata dal crollo sociale viene da una sconfitta politica-elettorale che ha accentuato la divisione tra le sue fila. La mancanza di prodotti arriva al 30% dell’offerta e sia l’industria che le importazioni si paralizzano in conseguenza di una situazione cambiaria terminale: il governo non può offrire dollari ai vari tipi di cambi legali, perché provocherebbe un’emorragia finanziaria attraverso il mercato parallelo.
L’immobilismo del governo è stato usato dall’ala destra dell’opposizione che capisce bene che non c’è margine per aspettare di convocare un referendum di revoca del presidente Maduro nel 2016, quando lo prevede la Costituzione. Questa vecchia frazione di destra dell’opposizione gorilla ha rifiutato la tesi del capo dell’opposizione Enrique Capriles, per il quale non c’è la possibilità di inclinare la bilancia politica attraverso il metodo delle manifestazioni di strada, mentre non si produce una diserzione delle masse della popolazione che continuano a sostenere il chavismo.
Nelle mobilitazioni cominciate all’inizio di febbraio a partire dall’aggravarsi dell’insicurezza nei campus universitari, prevale il movimento degli studenti oppositori; l’immobilità del governo ha creato una situazione esplosiva; il ritmo della crisi non porta ad un’opposizione in attesa, l’opposizione non è riuscita a portare dalla sua parte la massa chavista; il governo risponde con un apparato di repressione legale e paralegale che mostra lo svuotamento della sua base popolare.
Come succede in una posizione di zigzag negli scacchi, non si può muovere nessuna pedina. Si offrono vie d’uscita abbastanza bizzarre, come quella offerta dal teorico del “socialismo del XXI secolo” Hanz Dietrich, il quale ha proposto di formare un governo di coalizione con Capriles o di proporre una mediazione internazionale. La possibilità di un golpe dei “gorillas” è fuori dalle ipotesi per quanto invocata da D’Elia (politico argentino) e dall’ex vicedirettore della Shouberoff Atilio Boron, perché le armi le detengono le forze armate controllate dal chavismo e perché nemmeno Obama è interessato a dare segnali in questo senso.
Al governo nordamericano interessa in primo luogo che il presidente colombiano Santos sia rieletto e che continui i negoziati di pace con le Farc. Il triangolo del golpismo è formato da Leopoldo Lopez (attualmente detenuto), dal paramilitare colombiano Uribe (ex presidente dalla Colombia) e dai fascisti nordamericani del Tea Party. Si tratta di un menù indigesto anche alla borghesia mondiale ed ai principali governi imperialisti.
Chi è realmente obbligato ad impedire che la situazione venezuelana possa degenerare sono specialmente Cuba, Brasile, Argentina, ed infine la Colombia.
Raul Castro e Dilma Roussef non solo hanno un punto d’incontro nei crescenti investimenti brasiliani (costruzioni, petrolio) a Cuba, ma anche nei governi di El Salvador e Nicaragua i quali devono molto alla macchina elettorale che il Brasile ha esportato con successo in diversi paesi.
Le alternative che potrebbero negoziare il duo lulo-castrista sono senza dubbio limitate: Il Venezuela sta affrontando una crisi economica e sociale fuori dal comune. La revisione che richiede il suo disequilibrio finanziario è enorme; il Venezuela avrebbe bisogno di un grande finanziamento internazionale, che sarebbe condizionato dal fatto che il suo governo metta un freno brutale al suo sistema di programmi sociali. Questi accordi di revisione si convertirebbero in un “harakiri” per il chavismo, e ciò sarebbe incompatibile con il governo ed il regime politico vigente.
Così una possibilità di golpismo ufficiale riprenderebbe un’alternativa già menzionata nella stampa internazionale in un recente passato, cioè quella di un governo di transizione composto da militari chavisti, incaricato di riportare ad una normalizzazione politica. Sarebbe una specie di golpe alla Jaruzleski: il militare polacco “comunista” e “pro-sovietico” che presidiò precisamente per questo….la transizione della Polonia al capitalismo e alla NATO. Chiaramente l’opposizione dei “gorillas” lo guarderebbe con una certa aspettativa perché un golpe con queste caratteristiche minerebbe in forma irreversibile l’autorità storica del movimento bolivariano. D’Elia e Boron saluterebbero con gioia tale ipotesi, ignorando che sarebbe la fine del chavismo.
L’espressione inopportuna “cristinista”, cioè del presidente dell’Argentina, che “gli opposti si attraggono” potrebbe trovare in Venezuela una conferma inedita. Le manifestazioni dell’opposizione con un proposito golpista si potrebbero materializzare nel caso in cui lo stesso chavismo renda ufficiale uno “stato di eccezione” cioè di arbitrarietà statale. Le rivendicazioni degli studenti oppositori sono giuste, ed è un peccato che non siano nate dalla gioventù “socialista”, come ad esempio, in Argentina, propone la Fuba (Federacion Universitaria di Buenos Aires), togliendo così alla destra un arma di demagogia popolare. Lo stesso vale per la mancanza di merci, contro la carestia o contro l’arricchimento esagerato dei capitalisti ed i sovrapprezzi delle opere pubbliche. Però al contrario di quello che succede in Argentina, in Venezuela questo movimento ha una direzione politica di destra e definitivamente golpista. Questa è quello che conta al momento della sua caratterizzazione.
Allo stesso tempo la repressione criminale da parte di gruppi chavisti paralleli, designati come collettivi con la complicità del potere politico, mette a nudo una tendenza reazionaria e fascistoide delle istituzioni ufficiali, la cui implicazione politica è quella di sostenere la tendenza alla instaurazione di una dittatura.
La cospirazione che spinge la destra avvalendosi di una demagogia democratica e popolare, deve essere combattuta in primo luogo con la mobilitazione di massa e soprattutto con il passaggio del potere politico e della struttura sociale ai lavoratori e alla classe operaia.
Il Venezuela è governato da una cricca politica ed economica e dalla cosiddetta “boliborghesia”.
Grazie alla crisi si stanno organizzando mobilitazioni di operai, per esempio nell’industria metalmeccanica, in questo caso diretti dalla UNT (Unione Nazionale dei Lavoratori) in mano al chavismo. I lavoratori esigono la nazionalizzazione dell’industria per assicurare i posti di lavoro. Si tratta tuttavia di una rivendicazione insufficiente, considerando il fallimento impressionante delle nazionalizzazioni del chavismo che hanno contribuito al crollo industriale.
Quello che importa è il controllo e la gestione operaia industriale collettiva dell’economia nazionalizzata, e ciò implica un Governo dei Lavoratori.
La burocrazia sindacale ha mobilitato i lavoratori dell’industria petrolifera e metalmeccanica per appoggiare il governo. Un settore minoritario diretto da dirigenti classisti dell’industria petrolifera ha rifiutato questa collaborazione ed ha convocato un Incontro Nazionale Sindacale e Popolare dei Settori di Lotta per discutere il Piano Economico e Sociale di Emergenza e per un piano di mobilitazione nazionale in difesa dei diritti dei lavoratori e del popolo.
Ma il problema dell’indipendenza politica del movimento operaio continua ad essere il problema fondamentale della situazione politica venezuelana.