L’operazione economica annunciata da Renzi mercoledì 12 va denunciata per quello che è, ma anche compresa nel suo significato politico di fondo.
REALTA’ E FINZIONE
Nel merito l’operazione economico sociale annunciata va demistificata e riportata alla sua realtà. Non siamo in presenza di nessuna “svolta buona” per le condizioni reali della classe operaia italiana.
Gli 80 euro in busta paga corrispondono all’ aumento parallelo delle addizionali locali Irpef che il governo ha liberalizzato. Le coperture principali verranno dai tagli alla spesa pubblica, e quindi dalla spesa sociale (contributo da pensioni di 2500 euro lorde, nuovi tagli alla sanità concordati coi governi regionali di centrodestra e centrosinistra, riduzione dei trasferimenti alle ferrovie coperti da un nuovo aumento di tariffe e biglietti, eventuale compressione delle già miserabili pensioni di reversibilità..). Saranno dunque pagate dagli stessi “beneficiari” dell’aumento in busta. Altre coperture sono per lo più virtuali e ballerine (risparmio sugli interessi sul debito, manovra interna al 3% soggetta a negoziato europeo, recupero Iva sul pagamento dei debiti della P.A…) e potranno dunque tradursi, alla fine, in ulteriori tagli sostitutivi di spesa. L’enorme massa dei pensionati poveri è totalmente ignorata dalla manovra sull’Irpef mentre pagherà i tagli sociali che la finanziano. I padroni incassano una nuova riduzione dell’Irap, a vantaggio dei loro profitti e a danno della sanità pubblica (oggi coperta dall’Irap); e ottengono soprattutto, per decreto, la completa liberalizzazione dei contratti a termine e ulteriori vantaggi sull’apprendistato, quindi una nuova espansione di lavoro precario e ricattabile. Il plauso di Sacconi è più che giustificato.
Ma la denuncia della natura di classe dell’operazione non può e non deve far velo alla comprensione del suo significato politico.
Il nuovo Presidente del Consiglio mostra nel modo più nitido il proprio profilo populista al servizio della propria ambizione. Non si tratta solo della posa formale da imbonitore di Televendita. Renzi ha scelto di scavalcare ogni relazione concertativa con le rappresentanze organizzate delle classi sociali, a partire da Confindustria e sindacati, per realizzare la propria manovra. Nel selezionare la distribuzione dei 10 miliardi, ha disatteso la loro concentrazione sull’Irap come chiedeva Confindustria, “privilegiando” il lavoro dipendente. Il fatto che questo “privilegiamento” sia assai modesto e copra oltretutto altri attacchi sociali, non contraddice il significato della scelta e il profilo pubblico dell’operazione : Renzi ha scelto la priorità dei propri interessi elettorali, nel rapporto diretto con l’opinione pubblica , imponendoli di fatto al ministro dell’economia (Padoan) e al Presidente della Repubblica, custodi diretti del capitale finanziario e delle compatibilità U.E. “Non c’è certezza di coperture?. Non importa: i soldi dovrete trovarli voi lungo il percorso.. Io metto in gioco me stesso e non mi subordino ai burocrati”. Questo ha detto Renzi agli uomini delle banche. Padoan e Napolitano hanno opposto qualche resistenza, e ancora la opporranno, cercheranno in ogni modo di assicurare un equilibrio e di fare contrappeso in un rapporto diretto con gli organismi U. E.: ma la loro forza politica e contrattuale appare in questa fase sotto schiaffo per mano di un Presidente del Consiglio populista.
Renzi si tiene intanto aperte due vie. O regge la sua linea populista e allora va avanti, consolidando attorno al proprio comando un quadro più solido e largo di sostegni politici e sociali nello stesso blocco dominante; o in caso contrario, si riserva la via delle elezioni politiche anticipate tenendo in pugno la bandiera del “cambiamento” “contro “la burocrazia e la vecchia politica”.
LE RESPONSABILITA’ DELLE BUROCRAZIE SINDACALI
Nulla sarà semplice e scontato per le ambizioni di Renzi . Ma al tempo stesso il suo corso populista crea nuove difficoltà per il movimento operaio.
Le burocrazie sindacali e le sinistre italiane hanno una responsabilità enorme nell’ascesa del renzismo. Se un’operazione modesta e largamente truffaldina sui salari può apparire a settori proletari come una “svolta buona”, è perché i governi precedenti fecero operazioni più pesanti col consenso o il lasciapassare delle burocrazie. Inclusi peraltro i governi di centrosinistra, col sostegno e la partecipazione del PRC, come i governi Prodi . Così Renzi ha potuto prima sbeffeggiare le precedenti pose critiche di Camusso (“minacciano uno sciopero contro di me quando in precedenza hanno accettato tutto e non han fatto nulla”); e ora incassa addirittura il plauso fintamente “entusiasta” di quegli stessi burocrati che ha messo alla porta e ignorato: i quali non trovano di meglio che mascherare la propria sconfitta di burocrati concertativi esaltando agli occhi dei lavoratori un’operazione populista, e presentandola addirittura come farina del proprio sacco (“Renzi ci ha copiato..). Il peggio del peggio. Un’ulteriore menzogna (penosa) ai lavoratori- per nascondere la propria emarginazione di burocrazie- e al tempo stesso una nuova legittimazione del renzismo a sinistra. Mentre Landini non trova di meglio che continuare a giocare di sponda con Renzi, per scavalcare Camusso, e recitare il ruolo (immaginario) di principale interlocutore di un governo borghese populista. Anche lui contribuendo non poco alla confusione della coscienza operaia.
La necessità di un’altra direzione e di una svolta del movimento operaio è riproposta una volta di più dal nuovo scenario politico. Solo un programma generale e indipendente della classe operaia, e una mobilitazione di massa unitaria e radicale attorno ad essa, possono ricomporre su una frontiera di classe il blocco sociale alternativo. Senza questa svolta, rischia di allargarsi ulteriormente, tra gli stessi lavoratori, lo spazio di manovra del populismo . Anche del populismo di governo di un giovane aspirante Bonaparte.
MARCO FERRANDO