di Tiziano Bagarolo (da Marxismo Rivoluzionario, n. 5, dicembre 2004)
Antonio Labriola, origina le figura di intellettuale approdato in tarda età al socialismo e al marxismo, occupa un posto di rilievo nella storia dell’uno e dell’altro movimento. Nato a Cassino il 2 luglio 1843 in una famiglia della piccola borghesia patriottica (il padre era insegnante di liceo), trascorse la vita principalmente nell’ambiente accademico prima a Napoli – dove studiò con l’hegeliano Bertrando Spaventa – e poi a Roma, dove nel 1873 assunse l’incarico di professore di filosofia morale e pedagogia e più tardi, nel 1887, di filosofia della storia, e dove il 12 febbraio 1904 lo colse la morte, dopo una penosa malattia (un cancro alla laringe) che non gli impedì comunque, fino quasi alla fine, di dedicarsi all’insegnamento.
Per passione civile e per temperamento, tuttavia, Labriola non accettò mai di rinchiudersi nella torre d’avorio del mondo accademico ma fu partecipe, secondo una traiettoria inusuale ma a suo modo significativa, della vita culturale e politica dell’Italia negli ultimi decenni dell’Ottocento.
II filo conduttore che percorre la sua biografia intellettuale e politica è la volontà di contribuire al rinnovamento del paese da poco unificato. Tutt’altro, però, che in una ristretta ottica nazionalistica o patriottarda; semmai con una apertura europea ed internazionale e con una forte tensione a un vero rinnovamento politico e sociale che – di fronte alla delusione per la grettezza e la corruzione delle classi dirigenti liberali – lo porteranno progressivamente a condividere dapprima le posizioni della sinistra democratica e dei radicali e successivamente a “scoprire” sul piano politico il movimento operaio e il socialismo e, sul piano scientifico, il materialismo storico, diventando nell’ultimo decennio dell’Ottocento il principale esponente del marxismo nel nostro Paese.
Identificare il contributo e il ruolo di Antonio Labriola con la sua opera di diffusione del marxismo in Italia – che resta un suo merito storico indiscutibile – sarebbe tuttavia troppo riduttivo rispetto alla varietà e al valore del suo impegno e dei suoi contributi scientifici.
Prima dell’adesione al socialismo e al marxismo il percorso intellettuale e politico di Labriola si segnala per un pensiero di grande vigore intellettuale e per un forte impegno civile in campi quali la filosofia, con scritti su Hegel, Herbart, Vico, Socrate e Spinoza (1); la pedagogia – dal 1877 fu direttore del museo di istruzione e di educazione del Ministero della pubblica istruzione per il quale curò in particolare la preparazione dei maestri; negli anni successivi si studiò i sistemi scolastici europei in vista della riforma della secondaria; coltivò inoltre un forte interesse per la scuola popolare e per l’educazione delle masse operaie partecipando personalmente a esperienze di questo tipo (2) -; e la filosofia della storia, il sentiero intellettuale attraverso il quale Labriola compì il suo avvicinamento al materialismo storico e al marxismo, in parallelo con l’avvicinamento sul terreno politico al socialismo e alla scoperta nel movimento operaio del soggetto che poteva attuare quel profondo rinnovamento sociale e civile dell’Italia che la classe dominante ben si guardava non solo dall’attuare ma anche solo dall’incoraggiare.
Degli anni di militanza con i democratici vanno ricordati l’impegno su temi quali la laicità dello Stato e il rifiuto dei compromessi con la Chiesa (3) e l’opposizione alla Triplice alleanza con Austria e Germania. Quando nel 1888 si schierò attivamente al fianco degli operai edili romani e contro la repressione poliziesca e giudiziaria che lì colpì per le dure lotte provocate dalla crisi edilizia che seguì allo scandalo della Banca Romana, Labriola aveva già maturata la sua scelta socialista, dichiarata infine apertamente nel 1889 (4).
In quell’anno, il suo lungo procede per evoluzioni e rotture, ossia per rivoluzioni: “La storia non è se non la storia della società; – ossia è la storia del variare della cooperazione umana, dall’orda primitiva allo stato moderno, dalla lotta immediata contro la natura, con pochi ed elementarissimi istrumenti, fino alla struttura economica presente, che culmina nella polarità tra lavoro accumulato (capitale) e lavoro vivo (i proletarii). Risolvere il complesso sociale in semplici individui, e ricomporlo poi con escogitati atti di elezione e di volontà; – costruire, insomma, la società coi ragionamenti, significa sconoscere la natura obiettiva e l’immanenza del processo storico.
“Le rivoluzioni, nel senso più esteso della parola, e poi in quello specifico di rovina di un ordinamento politico, segnano le vere e proprie date delle epoche storiche. Guardare di lontano, nei loro elementi, nella loro preparazione e nei loro effetti a lunga scadenza, esse possono parere come i momenti di una evoluzione costante, a minimi di variazione: ma considerate per se stesse sono definite e precise catastrofi; e solo come tali catastrofi hanno carattere di accadimento storico.” (Del materialismo storico…).
Ma il marxismo non è uno schema predefinito una volte per tutte. Nella comprensione della storia esso è “filo conduttore”, sforzo di “addentrarsi direttamente nelle cose”, comprensione della “lezione delle cose”, “obiettiva considerazione delle cose”, consapevolezza che “le idee non cascano dal cielo”, e che il pensiero non è se non “il cosciente e sistematico completamento dell’esperienza”, ossia “il riflesso e la elaborazione mentale delle cose e dei processi che nascono e si svolgono, o fuori della volontà nostra, o per opera della nostra attività”. In questo costante rinvio alle cose e al dato empirico, alle condizioni materiali in cui gli uomini vivono e si riproducono in società, consiste la natura “materialistica” della concezione della storia di Marx e Engels. Ma il materialismo storico non è per questo un mero determinismo economico. Labriola, richiama costantemente la complessità dialettica delle interazioni fra “struttura” e “sovrastruttura”: la comprensione della storia consiste certo nel raggiungere “la struttura sottostante”, ma anche nel capire che “la sottostante struttura economica, che determina tutto il resto, non è un semplice meccanismo, dal quale saltino fuori a guisa di immediati effetti automatici e macchinali, istituzioni e leggi e costumi, e pensieri, e sentimenti, e ideologie”, perché, “da quel sostrato a tutto il resto, il processo di derivazione e di mediazione è assai complicato, spesso sottile e tortuoso, non sempre decifrabile”. Labriola ci ricorda costantemente che anche i “veli ideologici” di cui necessariamente si ricoprono la storia e l’agire degli individui, sono anch’essi “un dato reale” con cui fare i conti. Osserva e rileva la resistenza e la persistenza di fenomeni “sovrastrutturali” come l’arte, la religione, il diritto, lo Stato… E richiama spesso l’osservazione di Engels sull’operare solo “in ultima istanza” della struttura economica.
Escludere il determinismo economico non significa per altro ignorare i vincoli e le rigidità che, fino a quando esiste, un determinato sistema di relazioni socioeconomiche oppone ai disegni umani. Ne viene una riconferma della necessità della rivoluzione e una considerazione sull’incoerenza e l’inconsistenza utopistica del riformismo: “Il sistema economico non è una fila o una sequela di astratti ragionamenti; ma è anzi un connesso ed un complesso di fatti, in cui si genera una complicata tessitura di rapporti. Pretendere che questo sistema di fatti, che la classe dominatrice si è venuto costituendo a gran fatica, attraverso i secoli, con la violenza, con l’astuzia, con l’ingegno, con la scienza, ceda le armi, ripieghi, o si attenui, per far posto ai reclami dei poveri, o ai ragionamenti dei loro avvocati, gli è cosa folle. Come chiedere l’abolizione della miseria, senza rovesciare tutto il resto? Chiedere a questa società, che essa muti anzi rovesci il suo diritto, che è la sua difesa, gli è chiederle l’assurdo. Chiedere a questo stato, che esso cessi dall’essere lo scudo e anzi il baluardo di questa società e di questo diritto, è volere l’illogico. Cotesto socialismo unilaterale, che, senza essere strettamente utopistico, parte dal preconcetto che la storia ammetta la errata- corrige senza rivoluzione, ossia senza fondamentale mutazione nella struttura elementare e generale della società stessa, o è una ingenuità, o è un imbarazzo.” (In memoria del Manifesto…).
Un elemento importante dell’attualità di Labriola, anche alla luce degli attuali problemi ecologici, è la chiara considerazione che in lui si trova dei nessi materiali che intercorrono fra l’uomo e la natura e del modo in cui essi continuino ad agire sulla società e sugli individui anche dopo lo sviluppo dell’era industriale. “Come già dissi, gli uomini, vivendo socialmente, non cessano di vivere anche nella natura. A questa non sono certo legati come gli animali, perché vivono sopra un terreno artificiale. Ognuno del resto capisce, che la casa non è la grotta, l’agricoltura non è il pascolo naturale, e la farmacia non è l’esorcismo. Ma la natura è sempre il sottosuolo immediato del terreno artificiale, ed è l’ambito che tutti ci recinge. La tecnica ha messo fra noi animali sociali e la natura i modificatori, i deviatori, gli allontanatori degl’infussi naturali; ma non ha perciò distrutta la efficacia di essi, e noi anzi di continuo la sentiamo. E come noi nasciamo naturalmente maschi e femmine, moriamo quasi sempre nostro malgrado, e siamo dominati dall’istinto della generazione, così noi portiamo anche nel temperamento condizioni specifiche, che l’educazione nel lato senso della parola, ossia l’accomodazione sociale, può modificare sì, entro certi limiti, ma non può mai distruggere… Per tutte coteste ragioni, la nostra dipendenza dalla natura, per quanto diminuita dai tempi della preistoria in qua, si continua nel nostro vivere sociale; come in questo si continua anche l’alimento che dallo spettacolo della natura stessa viene alla curiosità ed alla fantasia. Ora cotesti effetti della natura, coi sentimenti immediati o mediati che ne resultano, per quanto avvertiti, da che c’è storia, solo attraverso l’angolo visuale che ci è offerto dalle condizioni della società, non mancano mai di riflettersi nei prodotti dell’arte e della religione; la qual cosa complica le difficoltà della interpretazione realistica e piena dell’una e dell’altra. ” (Del materialismo…). Su un piano diverso, una sensibilità attuale si coglie nella considerazione critica della nozione di progresso, che Labriola interpreta invece come sempre relativo e parziale, unilaterale. L’idea di progresso come ininterrotta perfettibilità umana, affermata dagli illuministi (Condorcet ecc.), è in realtà smentita costantemente dalla storia stessa. Ciò che è reale è l’avanzamento delle possibilità umane in astratto legate al lavoro, alla cultura e alla scienza e al perfezionamento degli strumenti. Ma la realizzazione di queste possibilità è impedita dalle disuguaglianze sociali, è condizionata da relazioni sociali che producono per la maggior parte dell’umanità sfruttamento, oppressione, miseria. “Il progresso fu ed è fino ad ora parziale ed unilaterale. Le minoranze che vi partecipano dicono sia questo il progresso umano; e i burbanzosi evoluzionisti chiamano ciò natura umana che si svolge. Tutto cotesto progresso parziale, che si è fino ad ora svolto nella pressione degli uomini su gli uomini, ha suo fondamento nelle condizioni di opposizione, per cui le antitesi economiche han generato tutte le antitesi sociali, e dalla relativa libertà di alcuni è nata la servitù di moltissimi; e il diritto è stato l’auspice della ingiustizia. Il progresso visto così, ed appreso nella sua chiara nozione, ci appare come il compendio morale ed intellettuale di tutte le umane miserie, e di tutte le materiali disuguaglianze.
“A scovrirvi la inevitabile relatività occorreva che il comunismo, sorto dapprima come moto istin- tivo nell’animo degli oppressi, diventasse scienza e politica. E occorreva poi, che la nostra dottrina desse la misura del valore di tutta la storia passata, scovrendo in ogni forma di organamento sociale, che fosse di origine e di assetto antitetico, come tutte furono fino ad ora, la ingenita incapacità a produrre le condizioni di un progresso umano universale ed uniforme; scovrendovi, cioè, gl’impedimenti i quali fanno sì che il benefìzio si converta in malefìzio.” (Del materialismo storico…)
L’ultima parte della vita riservò varie amarezze al professore socialista, e non solo per problemi di salute. Proprio alcuni dei suoi più stretti corrispondenti diventarono i principali autori di quella che è passata alla storia come “la prima crisi del marxismo”. Negli ultimi anni del secolo, Bernstein in Germania, Sorel in Francia, Croce in Italia, con finalità, argomenti e spessore diverso, arrivarono a mettere in discus- sione il marxismo e la sua prognosi della società contemporanea. Forse Labriola non colse tutta la portata della diatriba che si apriva, ma in ogni caso criticò vivacemente la vacuità e l’inconsistenza di questi “revisionisti” e dedicò un’ampia recensione a smontare pezzo per pezzo le pretese di Masaryk, professore dell’università di Praga, autore proprio nel 1899 di un volume su La crisi del marxismo.
Un quarto saggio storico-interpretativo, Da un secolo all’altro, rimase incompiuto, precocemente interrotto dalla morte (11).
Fu alieno da ogni dogmatismo, allergico alle definizioni astratte, critico di ogni scolasticizzazione del marxismo, interprete attento e al tempo stesso creativo dei testi e del pensiero di Marx e di Engels. Per lui il marxismo era soprattutto un “filo conduttore” e una concezione del mondo, non un sistema compiuto e tanto meno una chiesa, o una setta, in cui ci fosse bisogno di dogmi o di formule fisse. Non per questo mancò di criticare il superficiale empirismo dei dirigenti riformisti con cui ebbe a che fare, o il revisionismo di quei critici che pretendevano di liquidare parte o tutto il marxismo per rincorrere mode passeggere.
Labriola fu indubbiamente uno dei maggiori interpreti europei del pensiero di Marx e Engels della fine dell’Ottocento. Questo gli fu riconosciuto più fuori che dentro l’Italia, almeno negli ambienti socialisti. Il suo pensiero esercitò una certa influenza sulla cultura italiana del Novecento, indirettamente condizionando il percorso intellettuale di Benedetto Croce e direttamente nel caso di Antonio Gramsci; il quale lasciò scritto che “Labriola, affermando che la filosofìa della prassi è indipendente da ogni altra corrente filosofica… è il solo che abbia cercato di costruire scientifica mente la filosofìa della prassi”.
Ci piace concludere ricordando il giudizio di Trotsky, che deve forse proprio a Labriola la sua conversione al marxismo. Scrivendo nel 1930, così egli ricordava nell’autobiografìa la grande impressione ricevuta dalla lettura dei Saggi: “Mi opposi per un periodo relativamente lungo al materialismo storico, condividendo la teoria della molteplicità dei fattori storici, che, come è noto, è ancor oggi la più diffusa nelle scienze sociali. Gli uomini chiama no fattori aspetti diversi della loro attività sociale, attribuiscono a questo concetto un carattere soprasociale e quindi spiegano in modo superstizioso la loro attività sociale come un prodotto dei- razione reciproca di queste forze indipendenti. Da dove provengono questi fattori, cioè in quali condizioni si sono sviluppati a partire dalla società umana primitiva? L’eclettismo ufficiale non se ne preoccupa. Lessi con entusiasmo nella mia cella due noti saggi dell’hegeliano-marxista italiano Antonio Labriola, fatti entrare nella prigione nella versione francese. Labriola padroneggiava come pochi scrittori latini la dialettica materialista, se non in politica, dov’era sprovveduto, almeno nel campo della filosofìa della storia. Dietro il brillante dilettantismo della sua esposizione c’era vera profondità. Saldava magnificamente i conti con la teoria dei fattori molteplici che popolano l’Olimpo della storia e che di lì governano i nostri destini. Benché siano trascorsi trent’anni da quando lessi i saggi, lo sviluppo generale del suo pensiero mi è rimasto nella memoria, come pure il ritornello: ‘le idee non cadono dal cielo’.” (Trotsky, La mia vita, Mondatori, Milano 1976, p. 140). Anche dieci anni dopo, nel 1940, nel corso delle polemiche sul valore e il significato della dialettica con Max Shactman e James Burnham, ricordando che l’attribuzione al marxismo di un ristretto determinismo economico è un’invenzione di professori borghesi in cerca di un facile bersaglio da confutare, Trotsky invitava “i giovani compagni a studiare a tale proposito le opere di Engels (Anti-Duhring), di Plechanov e di Antonio Labriola.” (Trotsky, In difesa del marxismo, Samonà e Savelli, Roma 1969, p. 210). A noi non resta nient’altro da aggiungere.
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Note
(1) Agli inizi del 1862, non aveva ancora 19 anni, Labriola compose il suo primo scritto filosofico, Una risposta alla prolusione di Zeller, col quale replicava alla proposta di “ritorno a Kant” di un autorevole professore prussiano difendendo il valore della filosofia di Hegel. Nel 1866 scrisse il saggio, coevo degli studi dedicati al filosofo materialista Feuerbach, su Origine e natura delle passioni secondo Spinoza, per un concorso universitario. Nel 1869 scrisse per un altro concorso un saggio su La dottrina di Socrate secondo Senofonte Platone ed Aristotele, poi pubblicato nel 1871, in cui fra l’altro valorizzava “la tendenza pedagogica” del pensatore greco. Di quegli anni sono anche gli studi sul Vico e sull’Herbart, che avvicinarono Labriola ai temi della storia, dell’etica e del diritto pubblico che hanno trovato spazio nei saggi Della libertà morale e Morale e religione del 1873 e Dell’insegnamento della storia del 1876.
(2) Sui fini di questo museo Labriola ha lasciato scritto. “I fini del museo son questi: offrire al ministero criteri comparati sulla legislazione, dare ai municipi disegni di banchi e di locali scolastici, mettere sotto gli occhi degli insegnanti argomenti efficaci su l’andamento delle scuole, prestare libri ed apparati ai professori etc. etc. Direte che è troppo e non lo nego: massime se si guardi alla pigrizia del nostro paese”. La scuola popolare era per Labriola uno strumento essenziale per una trasformazione democratica della società. Così si espresse in un discorso a Terni del dicembre 1888: “La scuola popolare è il mio vero ideale, senza di essa non avremo democrazia, cioè amministrazione frenata e consapevole, giudice popolare, eguaglianza morale. Bisogna togliere il governo della cosa pubblica ai borghesuccoli e dottoruccoli”. Fra il 1879 e il 1881 Labriola si occupò degli ordinamenti scolastici di altri paesi europei. In quest’ambito nel 1879 compì un viaggio in Germania per incarico ministeriale e pubblicò nel 1880 gli Appunti sull’insegnamento secondario privato in altri Stati. Nel 1881 diede alle stampe VOrdinamento della scuola popolare in diversi paesi (Germania, Austria, Inghilterra, Francia, Stati Uniti, Olanda). A proposito dei suoi corsi per gli operai, così scriveva nel 1876 a Bertrando Spaventa: “Avrete letto sui giornali che io sto per diventare socialista. Faccio lezione agli operai di diritti e doveri. Spero di riuscire meglio che all’università, perché il senso della moltitudine è ormai preferibile a tutto questo nostro mondo fittizio di scienza burocratica.”
(3) Labriola fu fra gli animatori delle iniziative per l’edificazione del monumento a Giordano Bruno in Campo dei Fiori a Roma e per le celebrazioni in occasione del trecentesimo anniversario della esecuzione del filosofo di Nola perpetrata dall’Inquisizione cattolica. Infine il 16 febbraio 1900, nel cortile dell’università, commemorò solennemente il terzo centenario del rogo di colui “che non fu mai eretico perché non fu mai credente. ’’
(4) L’approdo al socialismo fu un processo graduale, fatto di tappe intermedie e di esperienze concrete che così riassunse in una conferenza tenuta il 20 giugno 1889 al Circolo operaio romano di studi sociali, dove gli era stato chiesto di commemorare la Comune di Parigi: “Dal 1879 cominciai a muovermi in questa via di nuova fede intellettuale, nella quale mi son fermato e confermato con gli studi e con le osservazioni negli ultimi tre anni.” In effetti, dopo le iniziali posizioni liberali, Labriola aveva maturato posizioni sempre più radicali e nel 1886, al momento di una candidatura, poi ritirata, alle elezioni politiche con i radicali, già accettava restrizioni alla proprietà privata e l’intervento dello Stato in economia. Anche nella lettera a Engels del 3 aprile 1890 Labriola fa risalire alla fine degli anni settanta sia il sorgere di nuovi interessi di studio (“studiai poi diritto pubblico, diritto amministrativo ed economia politica”) sia la “conversione teorica” al socialismo (“fra il 1879 e il 1880, mi ero già quasi convinto alla concezione socialista, ma più per la concezione generale della storia che per impulso interno di una fattiva convinzione personale”); la conversione politica fu tuttavia un processo più lungo (“un avvicinamento lento e continuo ai problemi reali della vita, il disgusto per la corruzione politica, il contatto con gli operai hanno poi a poco a poco trasformato il socialista scientifico in abstracto in vero socialdemocratico.”).
(5) La prima e forse la più riuscita iniziativa politica di Labriola fu l'”indirizzo dei socialisti italiani”, sottoscritto anche da Turati, inviato al congresso di Halle del Partito socialdemocratico tedesco (12-18 ottobre 1890). Indicando la funzione di guida della socialdemocrazia tedesca (“iniziatrice ed educatrice della nuova storia… avanguardia del proletariato militante”), il testo del messaggio recita: “Il proletariato militante procederà sicuro sulla via che mena diritto alla socializzazione dei mezzi di produzione ed l’abolizione del presente sistema di salariato, fidando solo nei suoi propri mezzi e nelle sue proprie forze, e fermo in questa convinzione, che non gli è data speranza di progresso intellettuale e morale, né di garanzie di libertà e di costituzione democratica, se non è prima cambiato nei fondamenti l’assetto economico della convivenza sociale”.
(6) Polemizzando con Turati in una lettera del gennaio 1891, Labriola così si esprimeva: “Voi volete rendere simpatico il socialismo; Dio vi aiuti in tale filantropica impresa. In quanto a me i borghesi li credo buoni soltanto a farsi impiccare. Non avrò la fortuna d’impiccarli io, ma non voglio nemmeno contribuire a dilazionarne l’impiccagione”.
(7) “Il partito operaio si deve venire costituendo per l’azione spontanea dei lavoratori messi in opposizione col capitalismo dalle stesse condizioni di fatto, e dalla propaganda condotta con oculatezza.” “Andare a un congresso per aver l’aria del conferenziere o del dottrinario non mi va. Il concetto che il partito socialista è un partito politico non si fa entrare nella mente degli operai con un ordine del giorno. E’ faccenda di esperienza, di tattica, di educazione e d’istruzione, e perciò di tempo.”
8) In alcune corrispondenze alla “Leipziger Volkszeitung” Labriola portò avanti la polemica contro il socialismo positivistico in nome del marxismo, e contro quei “curiosi marxisti italiani” (Achille Loria ecc.) che su “Critica sociale” (la rivista di Turati) avevano attaccato la teoria del valore di Marx senza averla capita. Scrisse nello stesso periodo al viennese Victor Adler: “Il marxismo non prende piede in Italia: e quello che pare marxismo è frase nuova applicata a idee, bisogni e sentimenti vecchi”.
9) Questo è il titolo con cui questi scritti sono stati raccolti insieme e più volte successivamente ristampati, sia in Francia sia in Italia.
(10) “La storia è il processo, non arbitrario, ma necessario e morale, degli uomini in quanto si sviluppano, e si sviluppano in quanto socialmente esperimentano, ed esperimentano in quanto perfezionano e raffinano il lavoro”. Non per questo è storia a disegno: “La nostra dottrina non pretende di essere la visione intellettuale di un gran piano a disegno”.
(11) Per completezza non si possono tacere le posizioni assunte da Labriola in favore dell’intervento coloniale dell’Italia in Libia. Parlando in una manifestazione nel 1897, e poi in un’intervista al “Giornale d’Italia” nell’aprile del 1902, giustificò le mire coloniali dell’Italia argomentando che gli interessi dei socialisti non possono essere opposti agli interessi nazionali; che in Libia poteva e doveva trovare sfogo l’emigrazione italiana; che l’Italia non poteva restare indietro alle altre nazioni d’Europa che assoggettavano e sfruttavano il resto del mondo, pena il suo declino economico nel quadro della competizione mondiale. Queste posizioni di Labriola, come analoghe posizioni di altri socialisti europei del tempo, mi sembra derivino dall’idea dell’immaturità della rivoluzione proletaria, fatto che giustificherebbe l’appoggio dei socialisti alla spinta espansiva della borghesia… Va detto che la rivoluzione russa del 1905 non c’era ancora stata. Anche sulla base di quell’esperienza, di lì a poco Lenin e Trotsky avrebbero impostato su basi completamente nuove e diverse, e concretamente rivoluzionarie, l’intera questione.