Corrispondenza dalla fabbrica di Rimini (dal sito: clash city workers).
Nelle ultime settimane la Valleverde è apparsa ripetutamente sulle pagine dei giornali, per una clamorosa bancarotta fraudolenta che ha comportato perquisizioni e sequestri in tutta Italia. Secondo la Guardia di Finanza, attraverso un intreccio societario e l’utilizzo strumentale del concordato preventivo, sette imprenditori e manager avrebbero messo su una truffa da 10 milioni di euro. È iscritto nel registro degli indagati anche Armando Arcangeli, fondatore dell’originaria Valleverde Spa e ideatore dello slogan che invitava a «camminare in una Valleverde»…
Ovviamente chi subisce le conseguenze di queste truffe sono i lavoratori, e in particolare i 130 dipendenti dello stabilimento di Coriano, provincia di Rimini, senza stipendio da ben tre mesi. Abbiamo quindi provato a capire tutta questa vicenda dal punto di vista dei lavoratori, andando a intervistarli. Ne è uscita fuori una breve cronistoria della vicenda, che conferma quanto sia diventato difficile lavorare in questa Valleverde…
Tutti conoscono la Valleverde, magari la ricordano per le pubblicità con Pelè, con Raffaella Carrà o con il pilota di formula uno Eddie Irvine. Tutti ricordano quello slogan: “è bello camminare in una Valleverde…”. Ma pochi conoscono davvero cosa c’è dietro quella azienda che per tanto tempo è stata vista come un “modello” per il capitalismo italiano. Pochi sanno quanto può essere faticoso camminare in una Valleverde…
È dal 2009, infatti, che i lavoratori della Valleverde di Coriano, provincia di Rimini, hanno subito in maniera pesante la mala gestione e le speculazioni di ben due dirigenze aziendali…
La prima, quella “storica” del marchio Valleverde SPA, aveva portato già quattro anni fa l’azienda in un mare di debiti e sull’orlo del fallimento. Così, dopo alterne vicende, nel maggio del 2011, una cordata di manager e imprenditori bresciani rileva l’azienda grazie a un concordato fra Valleverde SPA ed il Tribunale di Rimini. Ovviamente la cifra del concordato l’avrebbe dovuta versare alla Valleverde SPA la nuova azienda guidata dalla sopracitata cordata: la Valleverde SRL.
L’ingresso dei nuovi padroni, come spesso accade, è stato un inserimento senza liquidità e di natura completamente speculativa. Così, già nel giugno del 2011, si iniziano ad intravedere i primi effetti di questa operazione: la Valleverde SRL licenzia 80 lavoratori e abbassa gli stipendi ai minimi di categoria con il consenso dei sindacati presenti in fabbrica, ovvero CGIL e CISL. Ovviamente i due sindacati confederali firmano l’accordo, dicendo di voler salvaguardare i posti di lavoro…
Successivamente emergono ulteriori problemi per i lavoratori dell’azienda corianese: la cordata bresciana non solo non versa un euro al tribunale di Rimini, ma “riesce” a ridurre la produzione di tre volte rispetto al momento del loro subentro. Gli stipendi non sono pagati con regolarità, e chi aveva dei bonus monetari raggiungibili tramite (sempre più ipotetici) obiettivi ne ha potuto beneficiare solo in parte.
Nel 2013 si apre una procedura fallimentare dovuta al non rispetto del concordato col tribunale e i sindacati, ancora una volta, si schierano e difendono a spada tratta la dirigenza bresciana nonostante questi abbiano fatto dei lavoratori i loro schiavi. A questo proposito vale la pena sottolineare come la CGIL e la CISL non abbiano mai indetto una sola ora di sciopero contro questo maltrattamento dei lavoratori e l’unica azione chiamata dai sindacati confederali sia stata nel dicembre del 2013 proprio per chiedere che l’azienda restasse nelle mani della dirigenza. Il malumore fra i lavoratori è tanto, ma viene contenuto da una gestione delle relazioni di fabbrica assolutamente “pacificata”…
A gennaio 2014 le misure della Guardia di Finanza rivelano quello che i lavoratori avevano capito da tempo: non c’era alcun progetto industriale di rilancio da parte della dirigenza, nessuna intenzione di riprendere la produzione, c’era in atto una vera e propria truffa all’insegna del classico “prendi i soldi e scappa”. I soldi che la Valleverde incassava venivano infatti girati subito verso altre società controllate dagli imprenditori della cordata…
Così, la mancanza di conflitto in fabbrica, anzi di più: il vero e proprio gemellaggio fra dirigenza e sindacati, è andato a tutto detrimento dei lavoratori, che ora vedono incertissima la loro posizione lavorativa. Attualmente la curatrice fallimentare, assieme ad alcuni tecnici nominati dal Tribunale, sta gestendo la Valleverde, con l’obiettivo di produrre la nuova collezione primavera-estate, in attesa di un acquirente “vivo” e sul mercato per la prossima asta.
Ma questa storia, raccontata da uno dei lavoratori interni allo stabilimento, ci insegna che dove non c’è conflittualità sindacale molto spesso non esistono né diritti né coscienza di classe, e l’esito finale può essere solo la bancarotta, sì, ma dei lavoratori. Che dicono: “lavorare in una Valleverde è davvero impossibile…”