Di falaghiste
Il giorno 04/02/2014 E. Ferrario (A.D. Electrolux Italia) smentiva che l’azienda volesse ridurre del 40% i salari o delocalizzare in Polonia la produzione italiana.
Qualche giorno dopo, Giancarlo Ficco (responsabile elettrodomestici della UILM) rendeva nota una lettera dell’azienda ai sindacati e al Governo in cui Electrolux si rendeva disponibile a varare un piano industriale per il rilancio degli stabilimenti italiani compreso quello più a “rischio” di Porcia. Inoltre, l’azienda dichiarava di sostenere “la proposta avanzata dai sindacati al Governo di ripristinare la decontribuzione a favore delle imprese che applicano i contratti di solidarietà come mezzo per abbassare il costo del lavoro senza intaccare i salari”.
Questa marcia indietro dell’azienda è il risultato delle lotte dei lavoratori, ma riflette anche la solita strategia padronale terroristica: spaventare i lavoratori per ottenere alla fine regalie dallo Stato e permettere ai vertici sindacali di presentare l’ennesimo accordo bidone come una vittoria dei lavoratori.
La solita storia: soldi ai padroni con sgravi fiscali, contratti di solidarietà, CIG da usare come flessibilità e, magari, nuovi esuberi e aumento dei carichi di lavoro. Questo è l’amaro pasto che stanno apparecchiando a Roma i vertici sindacali, Governo e padroni per gli operai dell’Electrolux e per tutti i lavoratori italiani, che è utile ricordare sono i primi finanziatori dello Stato.
Sostenere, come fanno in malafede i sindacati e le aziende, che la decontribuzione alle imprese non intacca i salari è una sciocchezza, perché il salario reale non è composto soltanto da quello diretto (che i lavoratori incassano ogni mese) ma dal salario indiretto e differito (servizi sociali e pensioni).
In questi anni, l’UE ha investito circa il 36% del PIL in donazioni alle banche e in Italia; nel 2013, sono andati circa 30 mld di euro pubblici ad imprese private. Una cifra vicina alla metà di quanto lo Stato versa ogni anno alle banche come interesse sul debito.
Questa tipo di politica economica, che parte dal presupposto che più crescono i profitti, più cresce il PIL e l’occupazione, è in realtà la giustificazione ideologica dell’assistenzialismo statale alle imprese private.
Essa ha subito una forte accellerazione a partire dall’abolizione della scala mobile (Governo Amato) con i voti della “sinistra” (PDS – ex PCI ) e la firma dei sindacati confederali (1992 – autunno dei bulloni).
È proseguita poi con la precarizzazione del lavoro (1997 – pacchetto Treu del governo Prodi, 2003- legge trenta del governo Berlusconi) e poi con i continui tagli allo stato sociale, alla contrattazione di secondo livello e al “ cuneo fiscale “ (IRAP e IRES che pagano banche e imprese). A questo si devono aggiungere le continue riforme delle pensioni; in realtà tagli brutali praticati sistematicamente dai governi di ogni colore (ultima la riforma Fornero) negli ultimi venti anni.
Il risultato è stato il trasferimento del 30% dei redditi da lavoro ai profitti da capitale.
Insomma, sono stati principalmente i lavoratori dipendenti (compresi quelli a partita IVA individuale ) a finanziare i capitalisti con i tagli alla sanità, ai servizi, alla scuola, allo stato sociale, ai salari, agli stipendi e alla previdenza sociale.
Tutto questo senza nessun risultato positivo; ma al contrario producendo contrazione della domanda interna, aumento del debito pubblico (dello Stato e dei Comuni) e crescita progressiva della povertà e della disoccupazione.
A questo punto è evidente, a chiunque non sia uno sciocco o in malafede, che le classi dirigenti del nostro paese intendono proseguire sulla strada di far pagare alle classi lavoratrici, ai disoccupati, ai giovani proletari e ai pensionati poveri il costo del loro fallimento. È una questione di sopravvivenza che non riguarda la morale, né l’efficienza di una presunta nuova classe politica, ma che ripropone ancora la domanda fondamentale: chi comanda la società? La borghesia o il proletariato? La maggioranza dei produttori o una minoranza di parassiti sfruttatori?