Il Partito della Rifondazione Comunista (PRC), senza capire se sia ancora da chiamare Federazione della Sinistra (nome in voga qualche tempo fa, quando autoproclamarono di “aver unito i comunisti”), ha da alcune settimane lanciato, nella nostra città, Forlì, un appello per “unire la sinistra” in occasione delle imminenti elezioni amministrative.
L’appello è condito da banalissime quanto pelose ed ipocrite dichiarazioni di voler “cedere sovranità” per “sganciarsi dalle liturgie politiciste ed avventurarsi in mare aperto”: certo, non è più la Rifondazione di 10-15 anni fa che veleggiava su percentuali di voto a due cifre, ora che il PRC, a furia di tradimenti, compromissioni e svendite è finito come “non pervenuto” nei sondaggi elettorali, un ceto dirigente di trombati e affini se ne esce con questa pantomima del “cedere sovranità”, per “ripartire dal basso”.
Il tutto senza trarre alcun bilancio sulle disastrose politiche di collaborazione di classe adottate dal PRC nel recente passato, quando il PRC stava comodamente seduto negli scranni di governo (con tanto di ministro, tra l’altro attuale segretario del partito, Paolo Ferrero), assicurando i propri determinanti voti all’esecutivo Prodi, che poteva così portare avanti le spese militari e le conseguenti guerre all’estero, ed in patria altre mirabili misure “di sinistra” (o per meglio dire “sinistre”) quali, per esempio, il taglio delle tasse che gravano sui padroni (IRES-IRAP, la nota vicenda del “cuneo fiscale”), che fu la più grande riduzione fiscale per industriali e banchieri che questi poterono ottenere in un colpo solo in tutta la storia della Repubblica. Allora, i “comunisti” di Rifondazione, per giustificare agli occhi della loro base quello che è obbiettivamente ingiustificabile per qualsiasi comunista, dissero che si trattava di una misura che avrebbe fatto ripartire gli investimenti e accresciuto l’occupazione.
I fatti, che hanno la testa dura, dimostrano oggi che nulla è più distante dal vero!
Il PRC, su tutto questo, niente ha da dire né da dichiarare, sembra che soffrano tutti di una potente quanto inspiegabile amnesia, nessuno dei rifondaroli che ricordi queste brillanti esperienze “prodiane”, nei loro ragionamenti non c’è traccia di quello che è stato, di come correggersi e di come cambiare rotta, cosa che fa già perdere la fiducia nella sincerità del loro appello…
Resterà deluso anche il compagno, od il semplice elettore di sinistra, che vorrebbe avere una spiegazione del perché a Forlì si dichiara che stare nel centro-sinistra significherebbe “diventare ostaggio dello scontro che sta lacerando il PD, il quale, lungi dal parlare di valori, discute accanitamente solo dei posti da occupare”, mentre per esempio in Liguria il PRC non ha problemi a stare all’interno di una giunta regionale che si allarga fino a comprendere l’UDC di Casini. Forse in Liguria c’è un altro PD? Sull’UDC, non ce la sentiamo di porre nemmeno la domanda…
Così viene da pensare che il PRC accetti di combattere il centro-sinistra solo laddove quest’ultimo lo abbia scaricato, constatando che ormai il PRC è una piccola meteora non più significativa in termini di apporto di voti.
È il PD che ha liquidato il PRC, non il contrario, tanto è vero che in quelle città o regioni dove il PD ha ancora il buon cuore di fungere da autobus per il PRC per entrare nelle istituzioni, i rifondaroli si guardano bene dal rompere gli ormeggi!
E qui la fiducia nella sincerità dell’appello, già compromessa dalla rimozione di un passato scomodo col quale non si fanno i conti, al quale si aggiunge la non linearità persino nel presente, è definitivamente venuta meno.
A ciò occorre sommare il fatto, determinante, che il PRC, appena uscito dal suo IX congresso, non capisca o non voglia capire la fase storica che stiamo vivendo: questi continuano a blaterare di crisi del “neoliberismo”, ignorando che di crisi del capitalismo si tratta, ed è cosa ben diversa!
Come soluzione, propongono un nuovo “New Deal” e più intervento statale nell’economia, fingendo di non vedere (e, se non è malafede, allora è forte ignoranza) che non c’è mai stata, nella storia del capitalismo, una così cospicua iniezione di denari pubblici per il salvataggio dell’economia…privata. In questi anni, l’UE ha investito circa il 36% del suo intero PIL in donazioni alle banche. E una marea di miliardi vanno alle aziende private (nella sola Italia, nel 2013, sono andati circa 30 mld di euro pubblici ad imprese private).
Quindi, cari compagni del PRC, cercate di rendervi conto che il vostro auspicato New Deal lo stiamo già vivendo e lo pagano, come sempre, i lavoratori, quelli che sostenete di rappresentare.
Compagni del PRC, il fatto stesso che il vostro partito sia passato, come ricordavamo sopra, da un radicamento diffuso sul territorio unito a una grossa presa elettorale, a sparire quasi dalla scena politica “che conta”, non è dipeso da fantomatiche operazioni dei servizi segreti (come un’allucinato Ferrero affermava qualche tempo fa in una strabiliante intervista), ma dai tremendi errori opportunisti del passato e soprattutto dall’inizio di una nuova fase storica, quella segnata dalla crisi irreversibile del sistema capitalista.
Infatti, il PRC (e gli altri partiti riformisti di sinistra) ha avuto potere e prestigio fino al sopraggiungere della fase terminale della crisi generale (2007), cioè fino a quando la borghesia non ha dovuto procedere, senza se e senza ma, ad eliminare rapidamente le residue conquiste e i diritti delle masse popolari. A partire da quel momento, la borghesia ha lasciato da parte tutte quelle pratiche di mediazione che avevano caratterizzato i decenni precedenti e ha avviato il licenziamento dei mediatori.
Insomma compagni, ci spiace segnalarvelo, ma siete diventati (dal punto di vista politico, non personale, va da sé) un ferro vecchio, inservibili sia al movimento operaio sia alla borghesia.
I lavoratori vi hanno voltato le spalle perché non avete ottenuto le riforme che promettevate loro ad ogni campagna elettorale, e la borghesia non ha più bisogno di voi come parafango delle lotte, siccome non ha più nulla da dare ma solo da togliere, e ha deciso che è arrivato il momento di sfondare, se non vuole vedere intaccati i propri margini di profitto, andando giù duro, senza più parafango..
Perché è questione di vita o di morte, nel senso letterale del termine, non c’è più margine di trattativa, il momento è cruciale. O il movimento operaio si apre una breccia, trainandosi dietro gli altri settori sfruttati della società (inclusi i ceti medi in via di proletarizzazione) o i capitalisti riporteranno indietro le lancette del lavoro salariato alle condizioni ottocentesche.
Il bivio non è più tra “riforme o rivoluzione”, ma tra “reazione o rivoluzione”, in fin dei conti tra “socialismo o barbarie”.
E chi si ostina a voler restare nel mezzo di questo scontro implacabile verrà spazzato via per primo.
PCL Romagna; sezione Domenico Maltoni