EcoSocialismo
Manifesto ecosocialista
Dal blog di Tiziano Bagarolo : “Red end green”
Pubblico volentieri su “red&green” il Manifesto ecosocialista di Michael Lowy e Joel Kovel, due studiosi marxisti di valore, che ho trovato in rete già in traduzione italiana. L’originale di questo documento risale a diversi anni fa, ma non ha perso di interesse. Ha suscitato un certo dibattito all’estero, ma è rimasto quasi senza eco in Italia. Non è male, dunque, se, pur in ritardo, comincia a circolare nel nostro paese.
[t.b., 15 agosto 2010]
di Michael Lowy e Joel Kovel
L’attuale sistema capitalistico non è in grado di regolare, né tanto meno superare, le crisi che ha scatenato. Non è in grado di risolvere la crisi ecologica, perché questo richiederebbe di porre dei limiti all’accumulazione, un’opzione inaccettabile per un sistema promosso a partire dalla massima “crescere o morire!” In termini ecologici è profondamente insostenibile e deve essere cambiato in modo sostanziale – o meglio ancora, rimpiazzato – se vogliamo che ci sia un futuro degno di essere vissuto……
Il secolo XXI è iniziato in toni catastrofici, con un livello senza precedenti di degrado ambientale e di “ordine” mondiale caotico, assediato dal terrore e dai focolai della guerra a bassa intensità (disintegrante) che si estendono come una cancrena lungo vaste aree del pianeta – Africa Centrale, Medio Oriente e nord-est dell’America Meridionale – e si riverberano in tutte le nazioni.
La crisi ecologica e la crisi sociale sono profondamente correlate e vanno viste come manifestazioni distinte delle stesse forze strutturali. In termini generali, la prima è il risultato della industrializzazione galoppante che supera la capacità della Terra di ammortizzare e contenere la destabilizzazione ecologica. La seconda deriva da quella forma di imperialismo, conosciuta come globalizzazione, con i suoi effetti disaggreganti sulle società.
Rifiutiamo tutti gli eufemismi o la riduzione propagandistica della brutalità di questo regime: tutto l’intento di colorare di verde i suoi costi ecologici, tutta la mistificazione dei costi umani nel nome della democrazia e dei diritti umani. Insistiamo, al contrario, sulla necessità di guardare al capitale dalla prospettiva di ciò che ha realmente provocato.
Per quel che concerne la natura e il suo equilibrio ecologico, questo regime, con il suo imperativo di costante espansione della redditività, espone gli ecosistemi ad agenti contaminanti e destabilizzanti; danneggia gli habitat che si sono evoluti nel corso di milioni di anni permettendo la nascita di organismi; consuma le risorse e riduce la vitalità sensuale della natura al freddo scambio che richiede l’accumulazione del capitale.
Dal punto di vista dell’umanità, con le sue richieste di autodeterminazione, di comunità e di un’esistenza piena di senso, il capitale riduce la maggior parte della popolazione mondiale ad un mero serbatoio di forza-lavoro, mentre scarta la popolazione restante come fastidio inutile. Ha invaso ed eroso l’integrità delle comunità attraverso la sua cultura di massa del consumismo e della spoliticizzazione. Ha esteso le disparità nella distribuzione della ricchezza e del potere fino a livelli senza precedenti nella storia dell’umanità. Ha lavorato in stretto contatto con una rete di stati servili e corrotti, le cui élites locali esercitano la repressione e ne liberano l’infamia.
Inoltre ha messo in moto una rete di organizzazioni transnazionali sotto la supervisione generale delle potenze occidentali e della superpotenza degli Stati Uniti, per minare l’autorità della periferia e legarla all’indebitamento, mentre mantiene un enorme apparato militare per garantire l’accordo con il centro capitalista.
L’attuale sistema capitalistico non è in grado di regolare, né tanto meno superare, le crisi che ha scatenato. Non è in grado di risolvere la crisi ecologica, perché questo richiederebbe di porre dei limiti all’accumulazione, un’opzione inaccettabile per un sistema promosso a partire dalla massima “crescere o morire!”
E non è in grado di risolvere la crisi generata dal terrore o da altre forme di ribellione violenta perché, per farlo, dovrebbe abbandonare la logica imperiale, cosa che imporrebbe limiti inaccettabili alla crescita e a tutto il modo di vivere sostenuto dall’esercizio del potere imperiale. La sua unica opzione è ricorrere alla forza bruta, incrementando così l’alienazione e piantando i semi del terrorismo…e dell’ulteriore contro-terrorismo, sviluppandosi fino ad una variante nuova e perversa di fascismo.
Insomma, il sistema capitalistico mondiale si trova in una bancarotta storica. Si è trasformato in un impero incapace di adattarsi, il cui gigantismo finisce per lasciare allo scoperto la sua debolezza interna. In termini ecologici è profondamente insostenibile e deve essere cambiato in maniera sostanziale – meglio ancora, rimpiazzato – se vogliamo che ci sia un futuro degno di essere vissuto.
In questo modo, ci troviamo di nuovo davanti all’alternativa prospettata una volta da Rosa Luxemburg: socialismo o barbarie!
In questa occasione, il volto della barbarie riflette il marchio del secolo che inizia e assume le sembianze della eco-catastrofe, del terrore e del contro-terrore e della sua degenerazione fascista.
Tuttavia, perché il socialismo, perché rivivere questa parola in apparenza destinata all’immondezzaio della storia, a causa dei fallimenti delle sue interpretazioni nel XX secolo?
Solo per una ragione: per quanto sia colpita e lontana dalla realizzazione effettiva, la nozione di socialismo continua ad esprimere la superamento del capitale.
Se il capitalismo deve essere superato, compito che in questo momento ritorna urgente per la sopravvivenza della civiltà stessa, il risultato sarà per forza di cose socialista, perché tale è la conclusione che indica l’avanzamento verso una società post-capitalistica. Se affermiamo che il capitale è radicalmente insostenibile e si frammenta nelle barbarie appena descritte, allora affermiamo anche che è necessario costruire un socialismo capace di superare le crisi che il capitale ha provocato nel tempo.
E anche se i socialismi del passato non sono riusciti a farlo, se scegliamo di non sottometterci ad un destino barbaro, allora abbiamo l’obbligo di lottare per un altro socialismo che sia capace di vincere.
Allo stesso modo in cui la barbarie è cambiata in modo da rispecchiare il secolo trascorso dal momento che Luxemburg ha espresso la sua speranzosa alternativa, il nome e la realtà del socialismo devono essere quelli che richiede il nostro tempo.
Per questi motivi chiamiamo ecosocialismo una nostra interpretazione del socialismo e abbiamo deciso di dedicarci alla sua realizzazione.
Vediamo l’ecosocialismo non come la negazione, ma come la realizzazione dei socialismi del primo periodo del XX secolo, nel contesto della crisi ecologica. Come quei socialismi, il nuovo si costruisce a partire dalla percezione del capitale come lavoro oggettivato e si fonda sul libero sviluppo di tutti i lavoratori o, per dirlo in altre parole, sulla fine della separazione dei lavoratori dai mezzi di produzione.
Comprendiamo che questo obiettivo non ha potuto essere realizzato dai socialismi del primo periodo per ragioni che, sebbene risultino troppo complesse per essere trattate qui, possono riassumersi nei diversi effetti del sottosviluppo in un contesto dominato dall’ostilità dei poteri capitalistici. Questa congiuntura ha avuto numerosi effetti negativi sui socialismi realmente esistenti, in particolar modo per quel che riguarda la negazione della democrazia interna mediante l’emulazione del produttivismo capitalista, e ha finito per condurre al collasso di queste società e alla rovina dei loro ambienti naturali.
L’ecosocialismo mantiene gli obiettivi di emancipazione del socialismo del primo periodo e rifiuta tanto gli scopi riformisti – attenuati – della socialdemocrazia quanto le strutture produttive delle varianti burocratiche del socialismo.
Invece insiste nel ridefinire tanto il modo quanto l’obiettivo della produzione socialista in un ambito di riferimento ecologico. Lo fa in maniera specifica per quanto riguarda i limiti della crescita, essenziali per la sostenibilità della società, limiti che, tuttavia, non sono adottati nel senso di imporre scarsità, bassa qualità della vita e repressione.
L’obiettivo, al contrario, consiste in una trasformazione delle necessità e in un cambiamento profondo verso la dimensione qualitativa, prendendo le distanze da quella quantitativa. Dal punto di vista della produzione delle merci, questo si traduce in una valorizzazione dei valori d’uso piuttosto che dei valori di scambio – un progetto di vasto significato, basato sull’attività economica immediata.
La generalizzazione della produzione ecologica sotto condizioni socialiste può fornire la base per superare la crisi attuale.
Una società di lavoratori liberamente associati non si ferma alla sua democratizzazione. Al contrario, deve insistere sulla liberazione di tutti gli esseri umani come sostegno e come obiettivo. In questo modo supera l’impulso imperialista tanto nell’obiettivo quanto nel soggettivo. Nel raggiungere questa meta, lotta per superare ogni forma di dominazione incluse, in modo particolare, quelle basate sul genere e sulla razza. Supera le condizioni che danno origine alle distorsioni fondamentaliste e alle loro manifestazioni terroristiche.
Nessuno può leggere queste idee senza pensare, in primo luogo, a quanti problemi pratici e teorici possono sorgere da esse e, subito e in maniera scoraggiante, a quanto lontane esse siano rispetto all’assetto attuale del mondo sia per quel che riguarda le istituzioni sia per le forme in cui è presente nella coscienza.
Il nostro progetto non consiste né nel delineare ogni passo di questo percorso né nel cedere davanti all’avversario a causa del carattere opprimente del potere che ostenta, ma piuttosto consiste nello sviluppare la logica di una trasformazione sufficiente e necessaria dell’ordine attuale e nell’iniziare a sviluppare le tappe intermedie in direzione di questo obiettivo.
Facciamo questo con il proposito di pensare con maggior profondità a queste possibilità e, a tempo debito, cominciare il lavoro del progetto insieme a coloro che condividono queste stesse preoccupazioni.
(Fonte: http://www.una.ac.cr/ambi/Ambien-Tico/. Traduzione di Federica Napolitano)
Commettiamo un errore (solo un lapsus?) gravissimo quando affermiamo, ormai sempre più di frequente, che “dobbiamo salvare il pianeta”. No, il pianeta Terra esisterà ancora per milioni o miliardi d’anni e l’attuale nefasto Capitalocene sarà superato da più periodi geologici. Con altre ere ed estinzioni dopo la nostra, ormai sempre più probabile e vicina! Ciò che dobbiamo (tentare di?) salvare non è il pianeta ma la specie umana, assieme ai milioni di altre varietà viventi sopravvissute a infezioni e disastri provocati proprio da quest’ultimo periodo di svolgimento dell’umanità. Che poi chiamano evoluzione, sviluppo o progresso, però sempre più contro natura. La nostra e di tutto l’ecosistema.
(…)
Come scrive l’argentino Raveli in “Mestruazione: liberazione”!
E siamo solo all’inizio dello sfacelo.