STORIA : L’avvento della repubblica telecratica.
Dal “MALE” : la Costituzione illustrata – 3 maggio 1994 Nel 1861 quando nasceva il regno d’Italia gli analfabeti dichiarati erano il 78% della popolazione italiana. Dei restanti il 19% erano semianalfabeti; nel senso che capivano l’italiano ma non lo sapevano scrivere. Gli alfabetizzati erano il 2,5% ( secondo altre stime il 9% ). Il problema dell’ alfabetizzazione fu dunque correttamente inteso dalle classi dirigenti come centrale per lo sviluppo del paese. Le difficoltà erano enormi; non si trattava soltanto di insegnare a milioni di persone una lingua già parlata o comunque parlata da una maggioranza di cittadini,( che non esisteva in quanto gli italiani parlavano diecine di dialetti ) ma d’inventarne una nuova per tutti. Fu scelto il fiorentino colto epurato dai dialettismi, parlato dal ceto medio e usato da Alessandro Manzoni nei ” Promessi sposi“. Una lingua letteraria che esprimeva concetti utili al ceto medio (burocrazie, impiegati, militari, piccola borghesia ) ma inutile ai contadini, che furono la maggioranza della popolazione italiana, sebbene in calo, fino al secondo dopoguerra. Così il modello originale manzoniano fu contaminato sia da nuovi elementi tecnici ( che continua ancora oggi con l’introduzione nel lessico comune di termini anglosassoni ) che dai vecchi dialetti locali. La resistenza non fu soltanto funzionale ma anche politica; non solo da parte della chiesa cattolica, che fin dall’inizio si dichiarò contraria all’alfabetizzazione di massa, ma dalle classi possidenti latifondiste che temevano la crescita intellettuale delle classi popolari. Naturalmente, la scuola dell’obbligo ( sebbene in maniera insufficiente) e la leva obbligatoria (introdotta già nel 1961 e abolita nel 2005 ) favorirono l’unificazione linguistica degli italiani; tuttavia, furono la radio (1934 ) e soprattutto la televisione (1954 ) a portarla a compimento. Insomma, è sotto l’impulso della retorica fascista prima, e poi del bigottismo democristiano, borghese e clericale, che si è formata la lingua comune degli italiani. In Francia l’unificazione linguistica avvenne nel corso dei primi decenni del diciannovesimo secolo sotto l’impulso della rivoluzione francese. Nei paesi germanici ebbe origine dalla riforma protestante: già nel sedicesimo secolo ( con la traduzione della Bibbia di Martin Lutero pubblicata nel 1534). Lo spagnolo si è formato, invece attraverso un lungo processo di integrazione dei vari dialetti con la lingua Castigliana, fin dal medioevo. L’ inglese odierno è un evoluzione della prima versione anglicana della bibbia ( William Caxton 1611 ). L’origine delle principali lingue dell’occidente: tedesco, inglese e francese (esluso lo spagnolo? ) è strettamente connesso con lo sviluppo dell’economia di mercato, nel passaggio epocale dal medioevo all’era moderna; attraverso la rottura violenta del vecchio ordine della nobiltà di sangue e del clero cattolico ( rivoluzione francese,riforma anglicana e protestante) Una rottura che ha prodotto la dittatura di una nuova classe sociale : la borghesia, ma che ha trovato in questi paesi riscontro nei sentimenti di ampie masse popolari con la proclamazione ( formale ) dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. In Italia invece il tanto decantato rinascimento è stato una modernizzazione senza rivoluzione, sotto il dominio della monarchia sabauda e il trasformismo della classi possidenti; che ha cambiato il nome dei padroni e delle istituzioni ma non ha trasformato ( specialmente nelle regioni meridionali ) il rapporto fra suddito e padrone con quello democratico-borghese fra cittadino ed eletto. E ha generato il più che secolare sfruttamento intensivo del proletariato meridionale da parte della borghesia del nord e della imprenditoria criminale sudista, sua alleata. « Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio. » Giuseppe Garibaldi in una lettera a Adelaide Cairoli, 1868 « Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti. » Antoni Gramsci : l’ordine nuovo, 1920 La storia della scuola dell’obbligo ( pubblicato nel sito FLC-CGIL ) Le ragioni dei briganti…. La storia scuola dell’obbligo : dal sito- FLC -CGIL La “Coscrizione scolastica” così era chiamato l’obbligo scolastico nel dibattito che nella seconda metà del secolo XIX, allora come ora, infiammava l’opinione pubblica (che al tempo era un po’ più ridotta di adesso, limitata a classi ricche e intellettuali e a una parte del ceto medio, vista l’ampia diffusione dell’analfabetismo) ogni qualvolta si parlava di aumentarlo e financo di istituirlo. L’istituzione era avvenuta nel 1859 e prevedeva l’obbligo fino alla seconda in una scuola elementare che allora era solo di quattro anni. Il primo innalzamento lo si ebbe nel 1877 col governo della Sinistra storica: da due a tre anni, con sanzioni per i non ottemperanti (prima non c’erano e quindi l’obbligo oltre che più basso era pro-forma). Ma anche su un obiettivo così basso ci fu che pensava che la scuola dovesse essere inaccessibile per le classi popolari se è vero che ci furono venti voti contrari alla Camera. Il Ministro era allora Coppino il quale fece anche altri due atti degni di rilievo: l’innalzamento del percorso elementare da quattro a cinque anni e la sottrazione delle scuole tecniche al Ministero dell’agricoltura e dell’industria e la loro assegnazione all’Istruzione (alla quale saranno nuovamente tolte da Gentile nel 1923, come si vede, anche in questo caso la storia si ripete e riguarda, mutatis mutandis, sempre un certo tipo di scuole!). Ancora più virulenta fu la polemica quando si trattò di portare l’obbligo scolastico alla quinta elementare, cosa che avvenne con Orlando nel 1904, il quale anzi stabilì come limite di età i 12 anni con l’istituzione della sesta classe per le moltitudini che non proseguivano gli studi ( ma, essendo le bocciature a quei tempi alte nelle elementari, la massa si fermava, quando andava bene, alla quinta). In molti casi però l’attuazione di questa norma non avvenne o avvenne solo dopo il 1910 quando l’istruzione elementare divenne statale: molti comuni infatti, soprattutto nel Meridione, non erano in grado di istituire scuole quinquennali. L’obbligo a 14 anni fu istituito ufficialmente da Gentile nel 1923. Fu fatto per aderire ad una convenzione internazionale di alcuni anni prima, ma di fatto anche questa volta rimase lettera morta per la stragrande maggioranza delle ragazze e dei ragazzi italiani fino al 1962-63 quando fu avviata la riforma della scuola media. E questo nonostante che dal 1948 anche un articolo della Costituzione della Repubblica imponesse un obbligo di frequenza scolastica di almeno otto anni. La ragioni dei “ briganti “ All’indomani della spedizione dei mille e della conseguente annessione delRegno delle Due Sicilie al nuovo Regno d’Italia, diverse fasce della popolazione meridionale cominciarono ad esprimere il proprio malcontento verso il processo di unificazione. Questo malcontento era generato innanzitutto da un improvviso peggioramento delle condizioni economiche dei braccianti della provincia meridionale, che, abituati ad una condizione economica povera ma sopportabile (caratterizzata da un costo della vita moderato, da una bassa pressione fiscale e dalla libera vendita dei prodotti agricoli) si ritrovarono a dover fronteggiare un nuovo regime fiscale per loro insostenibile e una regolamentazione del mercato agricolo svantaggiosa per loro sotto ogni aspetto. Un altro importante motivo che spinse alla rivolta i contadini fu la privatizzazione delle terre demaniali a vantaggio dei vecchi e nuovi proprietari terrieri, che così ampliarono legalmente i loro possedimenti in cambio di un maggior controllo del territorio e della fedeltà al nuovo governo. Tutto ciò danneggiava i braccianti agricoli più umili, cioè quelli che lavoravano a giornata con lavoro precario e senza un rapporto di radicamento nel territorio, che con la sottrazione delle terre demaniali da loro utilizzate si ritrovarono a dover vivere in condizioni economiche ancora più disagiate e precarie rispetto al passato. A tutto ciò si aggiunse l’entrata in vigore della leva obbligatoria di massa, che in periodo borbonico avveniva invece tramite sorteggio e interessava solo pochi uomini, essendo l’organico dell’esercito borbonico, diversamente da quello piemontese, in parte costituito da truppe straniere. In tale contesto si cominciarono a formare, oltre alle bande di contadini e pastori che si davano al brigantaggio come estrema forma di protesta, anche gruppi organizzati di ex soldati del disciolto esercito napoletano, rimasti fedeli alla dinastia borbonica. Tra questi si inserirono anche malviventi e latitanti di vecchia data, adusi a vivere alla macchia. Inoltre, in taluni posti, erano avvenuti da parte dell’esercito di Vittorio Emanuele eccidi e devastazioni (come ilmassacro di Pontelandolfo il 14 agosto 1861) a causa dei quali i sabaudi non si erano fatti certo amare. Da ultimo, ma non per importanza, l’annessione al Regno d’Italia era sentita dalla parte della popolazione con sentimenti religiosi come una minaccia alla propria fede cattolica e alle proprie tradizioni. La componente religiosa ebbe un’importanza determinante sia perché durante il Risorgimento crebbe una forte connotazione anticattolica, in particolare a causa della questione romana, ragion per cui non poteva godere di un vasto consenso in tutte le classi della popolazione, soprattutto quella rurale, allora intensamente ancorata al proprio sentimento religioso, anche perché il basso clero, a contatto diretto con queste popolazioni, rafforzava l’idea che i liberali “massoni e senza Dio”, volessero abbattere radicalmente la “Santa Madre Chiesa”. Inoltre dal vicino Stato pontificio, in cui si erano rifugiati i reali borbonici, arrivarono aiuti e costanti incitamenti (fino al 1867) alla lotta armata senza quartiere contro uno Stato che aveva espropriato i beni dei conventi e minacciava la stessa sopravvivenza del potere temporale del Papa. |