Considerazioni sul 19 ottobre: antagonismo e rivoluzione a confronto
di PCL Romagna · Ottobre 22, 2013
di Marco Ferrando
Il clima di intimidazione poliziesca che ha preceduto e accompagnato il corteo- con blocchi, perquisizioni, strumenti repressivi di vario genere- non ha impedito a decine di migliaia di lavoratori, precari, disoccupati, migranti, attivisti dei movimenti di lotta su casa, ambiente, territorio, di manifestare la propria opposizione alle politiche di austerità e di miseria sociale condotte dai governi di unità nazionale, protette dalla Presidenza della Repubblica, dettate dal capitale finanziario italiano ed europeo.
A differenza della manifestazione del 12 Ottobre( Rodotà/ Landini), che teneva i piedi in tante scarpe( con i movimenti ma anche con le Procure, “contro” il governo ma strizzando l’occhio al PD), la manifestazione di sabato aveva un carattere di opposizione inequivoca. Anche da qui la partecipazione organizzata, combattiva e militante, del Partito Comunista dei Lavoratori ( oltretutto, tra i soggetti politici del corteo, lo spezzone col maggior numero di giovani).
Tuttavia, passata la manifestazione, si impone qualche considerazione politica. Di bilancio e di prospettiva.
LIBERTA’ PER GLI ARRESTATI
Il primo dovere è sicuramente quello di rivendicare la immediata libertà dei compagni/e arrestati/e.
E’ una rivendicazione incondizionata. Non riconosciamo allo Stato borghese il diritto di colpire un’espressione di opposizione, quale che sia. Le divergenze profonde che abbiamo con impostazioni nichiliste e/o avventuriste, indifferenti al rapporto con la classe e alla crescita del movimento di massa, non ci fanno perdere di vista il fatto fondamentale: l’avversario è lo Stato, le classi dominanti, il loro governo. Se contrastiamo azioni e logiche minoritarie lo facciamo proprio nel nome della prospettiva della rivoluzione, non certo della difesa della “legalità” o del principio della “non violenza”. Perchè è lo Stato l’organizzazione concentrata della violenza: quella che tutela lo sfruttamento, affonda i migranti, partecipa alle guerre..
A sua volta proprio una seria prospettiva rivoluzionaria chiama in causa posizioni ideologiche e culture di larga parte dei soggetti promotori della manifestazione del 19.
“SOLLEVAZIONE” : PAROLE E REALTA’
“Sollevazione” era la parola d’ordine e lo striscione d’apertura del corteo. “Sollevazione” recitava il tam tam di un’area vasta di realtà di movimento riconducibili in senso lato all’arcipelago dell’”Autonomia”. Ma cosa si intende per “sollevazione”? Questo è il punto decisivo. Perchè con le parole non si gioca. (Anche perchè qualcuno può prendere sul serio un gioco mediatico e d’immagine, con conseguenze imbarazzanti per gli stessi giocolieri).
Chiamare “sollevazione” una manifestazione di decine di migliaia, convocata da due mesi, concordata (comprensibilmente) con la Prefettura, sfociata in un presidio autorizzato di duecento compagni davanti a un ministero, è obiettivamente ridicolo. Tanto più se il suo sbocco è l’incontro con il Ministro Lupi, attraverso l’interessamento dell’assessore Nieri( SEL).
Ma non si tratta di una improprietà terminologica. Si tratta di una questione politica seria. Si tratta di una cultura che riduce la rivoluzione al “proprio” antagonismo, cioè all’antagonismo di una minoranza. Questo antagonismo può, a seconda dei casi, confliggere con lo Stato negli scontri di piazza e/o negoziare con lo Stato e i suoi ministri. Ma parte sempre dal culto di sé, dalla propria autorappresentazione come “Il Movimento”, al tempo stesso avversario e interlocutore dello Stato. Dentro una visione in cui tutto si riduce al ( proprio) “conflitto” e/o “mediazione” col potere. Senza prospettiva di reale alternativa di società e di potere, quindi di rivoluzione, quindi di conquista delle grandi masse alla rivoluzione. Chiamare “sollevazione” la “propria” manifestazione è semplicemente una traduzione di questa cultura.
LA SERIETA’ DI UNA PROSPETTIVA RIVOLUZIONARIA
Le reali ragioni di lotta e di movimento che si sono espresse nella manifestazione del 19 Ottobre meritano e richiedono un’altra logica e prospettiva. Non la propria autorecinzione in un piccolo bacino d’avanguardia. Ma l’investimento in una prospettiva di autentica esplosione sociale di massa, concentrata e radicale, che rovesci i rapporti di forza con la borghesia e il suo Stato. Perchè questa è una sollevazione : non una manifestazione di migliaia, ma una ribellione di milioni. A partire dalla forza decisiva di 16 milioni di lavoratori salariati.
E’ questa l’unica via per strappare risultati reali in ordine alle proprie rivendicazioni, perchè l’avversario- tanto più in tempo di crisi- concede solo quando ha paura ( e solo una ribellione di massa può incutergli realmente paura). Ma soprattutto è l’unico modo di aprire la prospettiva del rovesciamento del capitalismo e della conquista del potere da parte dei lavoratori e degli sfruttati. Un potere basato sulla loro organizzazione e la loro forza: l’unico potere che possa riorganizzare da cima a fondo la società, e dunque l’unico potere che possa davvero assicurare lavoro, reddito, casa, diritti…
Costruire un ponte, in ogni lotta, tra queste rivendicazioni e un alternativa di potere, è l’unico modo di dare loro una prospettiva seria. Certo difficile, ma l’unica reale. La costruzione controcorrente del partito rivoluzionario è in funzione di questa politica e prospettiva.
“Senza le masse non c’è sollevazione, lotta di classe, rivoluzione”: questa parola d’ordine- tra le altre- ha scandito non a caso lo spezzone di corteo del PCL. Riassume la differenza di fondo tra puro antagonismo e prospettiva anticapitalista. E perciò stesso tra il gioco autocentrato dell’illusionismo ideologico, e la serietà della politica rivoluzionaria