di Osvaldo Coggiola- storico e dirigente della IV Internazionale (CRQI)
Le manifestazioni per la riduzione della tariffa dei mezzi pubblici sono cominciate due settimane fa, il 6 giugno, riunendo circa duemila persone nella Avenida Paulista. Dieci giorni dopo, le stime dei giornali davano, sottostimandone i numeri, 230mila manifestanti in dodici capitali. Il 20 giugno, i manifestanti già si attestavano ad oltre un milione, ma un milione erano solo quelli di Rio. In un momento economico segnato da minacce di crescita dell´inflazione, il movimento è cresciuto di circa il 100.000% in 15 giorni, un indice che fa impallidire i più alti tassi iperinflazionari della storia (se 2.000 = 100; 2.000.000= 100.000), come se ognuno dei 2000 manifestanti paulisti iniziali avesse reclutato mille nuovi manifestanti in quindici giorni. Per rappresentare graficamente questo fenomeno si dovrebbe usare una scala logaritmica (l’iperinflazione tedesca del 1923, nell’ordine percentuale di miliardi annui, è stato il primo fenomeno in cui si è dovuti ricorrere all´uso di queste scale nelle analisi economica). Si è spiegato il fenomeno con l’uso massiccio delle reti sociali.
Certamente le reti sociali rappresentano uno strumento spettacolare di accelerazione della velocità e di ampliamento della diffusione di idee e proposte, ma a condizione che tali idee e proposte esistano previamente. Sono strumenti usati anche dal conformismo intellettuale che caratterizza l’intellettualità organica (compresa quella “critica”) del potere negli ultimi due decenni (non necessariamente e non esclusivamente quella brasiliana), che ha riversato la sua prevedibile cascata di luoghi comuni pseudo-esplicativi nelle reti sociali (le “difficoltà” di relazione tra i governi popolari e i movimenti sociali” e altre volgarità del genere). Il MPL (Movimento passe livre), nato dieci anni fa, si è dato una struttura (orizzontale, verticale, o vertiorizzontrasversale che si voglia), proposte e idee. Che sono servite fino ad ora. Fino ad ora. Adulare tardivamente il MPL, i “giovani brasiliani nelle strade”, o qualsiasi altra demagogia dal fiato corto, significa mettersi alla coda della situazione, o cercare di sfruttarla per mantenersi (disperatamente) al potere (al governo, più esattamente), o anche per entrare nel potere usando esattamente gli stessi mezzi che vengono ora additati come superati. Fino al 13 giugno, secondo il potere e i grandi media, c’erano solo “vandali” nelle strade; dal 17 giugno, sempre secondo gli stessi, ci sono “manifestanti”. Questo è stato il primo arretramento dei governanti (vecchi e nuovi), il cui valore supera di gran lunga i 20 centesimi di riduzione dei biglietti dell’autobus.
Dilma Roussef, dopo aver incassato tre sonore contestazioni, da parte di una presunta moltitudinaria borghesia brasiliana che gremiva i cancelli dello Stadio Mané Garrincha nella partita inaugurale della Coppa delle Confederazioni, ha dichiarato che le manifestazioni popolari rafforzavano l’attuale regime politico (definito “democrazia”) e, dopo questa esauriente prodezza intellettuale, ha taciuto per diversi giorni. Di fronte al mutismo, un gruppo di “movimenti sociali” anch’essi muti fino a questo momento, compresi gli abituali opportunisti dell’ultimo decennio (ma anche, purtroppo, il MST) ha proposto “la realizzazione, urgente di una riunione nazionale, che coinvolga i governi degli stati, i sindaci delle principali capitali e i rappresentanti di tutti i movimenti sociali”, oltre che lo stesso governo federale, ossia, una monumentale convenzione federale di “pompieri” che include (attraverso governatori e sindaci) i rappresentanti della destra più marcia e corrotta del paese, perché tutto si concluda a tarallucci e vino. E’ il percorso che punta ad una risoluzione politica imputridita del monumentale momento di impasse del potere. Dal MST, per la sua traiettoria storica, ci si aspettava qualcosa in più della proposta di una conciliazione rassicurante con i vari calheiros, cabrais e sarneys vari. Una proposta di organizzazione indipendente del movimento popolare, attraverso un’assemblea nazionale di chi lotta, non una proposta di organizzazione del regime politico per contenere il movimento popolare. Il MPL sarebbe in tutto ciò lo stregone che ha invocato faustianamente i demoni, compresa una destra fascista/paramilitare che ora disputa l’egemonia del movimento nelle strade, e che ora lo stesso MPL non riuscirebbe più a scongiurare? No. Il MPL ha fatto esattamente quel che doveva fare e che aveva annunciato che avrebbe fatto, già da molto tempo. Perché tutto questo non accadesse (perché l’estrema destra, l’”intelligence” della polizia, i criminali, non “vandali” scendessero nelle strade) bastava non far niente. I manifestanti, considerati non politicizzati, i milioni che non sono di destra, che non sono i giovani palestrati, che non è il PCC (Primeiro comando da capital, organizzazione criminale), stanno facendo nelle strade il miglior corso accelerato di formazione politica che si possa immaginare. La destra militarista/golpista che si muove in acque torbide, bruciando bandiere di partiti politici e movimenti, riceverà il trattamento adeguato quando la sinistra si organizzerà, cominciando a disputare l’egemonia nelle strade e nei luoghi di lavoro e di studio, e adottando i procedimenti storicamente necessari verso poliziotti infltrati, provocatori e fascisti. Metodi antichi, che esistono da quando nessuno neanche sognava qualcosa come internet. E che da allora non sono cambiati. O si fa così o si torna a casa e si aspetta il prossimo “3,20”. Questo è anche un corso di formazione politica per la sinistra che sta imparando di nuovo, in questi giorni, ciò che il vecchio rivoluzionario voleva dire quando affermava: “Il fascismo non si discute, si distrugge”. Un’idea semplice, prodotto di decenni di esperienza e riflessione. Per questo ci vuole, prima di tutto, volontà politica e un programma. La riduzione di 20 centesimi della tariffa dei biglietti è stata una vittoria, ma solo la prima. L’aumento dei prezzi del trasporto pubblico è stata la miccia di una situazione sociale deteriorata (e per molti aspetti peggiorata negli ultimi anni), ma non tutto, non qualsiasi rivendicazione funziona come miccia. I trasporti e le sue tariffe erano e sono la sintesi quotidiana della miseria brasiliana. Quella che si subisce tutti i giorni, nelle tasche, sulla pelle. E nei nervi. Le reti sociali non hanno niente a che fare con tutto questo. Non si può usare un laptop stando in piedi in un autobus sovraffollato delle città brasiliane. Il (la) sociologo (a) che ha affermato che siamo di fronte ad un movimento di giovani di classe media, per l’uso massiccio di computer e reti sociali, si sta, come dirlo delicatamente?, sbagliando del tutto.
Muoversi in autobus a San Paolo costa, misurandolo in tempo di lavoro, dieci volte di più (il 1.000% in più) che a Buenos Aires; il 120% in più che… a Parigi!; il 110% in più che… a Londra!; e il 50% in più che a Tokio, una delle città più care del pianeta, la più cara tra le “grandi”. La tariffa equivalente a 1,50$ a San Paolo è pagata dall’uso di 13.900 veicoli nella capitale paulista, di contro ai 14.100 che esistevano nel 2004. Si è passati da 200mila a 193mila corse giornaliere, e a questo si deve sommare l’aumento della popolazione: milioni di persone in più che si muovono pagando un prezzo più alto, in meno autobus e con meno corse. Una raffinata e costosa tortura quotidiana. Il lavoratore di San Paolo spende tra il 25% e il 30% del suo salario per passare l’equivalente di un mese all’anno (tre ore al giorno) in autobus sovraffollati. Il profitto delle imprese (poche e che hanno il monopolio) che si sono aggiudicate il servizio pubblico, nate dalla privatizzazione dell’antica CMTC, è di oltre 100 milioni di reali mensili, in una stima al ribasso (@rhwinter), profitti alimentati dalle tasche popolari e dai sussidi pubblici (coperti dalle tassazione indiretta). Per proteggere questa situazione e questi profitti, si è azionato nella prima settimana di giugno, un apparato poliziesco/militare ereditato dalla dittatura militare, conservato dai “neoliberali” e perfezionato dal governo del “Brasil de todos”, usando soldi (che mancano alla sanità e alla scuola), inizialmente contro duemila, poi cinquemila, poi manifestanti. Trattati con estrema brutalità. I milioni che sono nelle strade non sono stati convinti a starci da facebook: lo sono stati dall’uso dei mezzi pubblici, dalle file negli ospedali pubblici, dalle scuole pubbliche senza professori e, infine, dai proiettili di gomma, dai lacrimogeni. Facebook si è limitato a trasmettere (ad alcuni) il punto di concentrazione delle manifestazioni.
Domanda: perché alcuni ancora si dichiarano “sorpresi” e addirittura “frastornati” dalla crescita, geometrica e nazionale, della mobilitazione? O, come si è chiesta una nota editorialista della Folha de S. Paulo (18/6): “Sembrava tutto così meraviglioso, nell’oasi Brasile e, all’improvviso, stiamo vivendo le manifestazioni di Piazza Tahir, a Il Cairo, così all’improvviso, senza preavviso, senza un crescendo. Siamo stati tutti presi di sorpresa. Dal paradiso, siamo scivolati quanto meno in un limbo. Cosa succede in Brasile?” “Tutti” chi, viso pallido? Il problema è che l’oasi dell’editorialista ha molto poco a spartire col deserto degli sfruttati brasiliani. Quel che accade in Brasile è che è un paese abitato da essere umani, non (solo) da cammelli (o bestiame) per l’agrobusiness. Per fare del paese una piattaforma privilegiata per la valorizzazione fittizia del capitale finanziario e industriale, con tassi di interesse a la Neymar e sgravi fiscali a la Messi (ossia molto alti), con progressive ed infinite privatizzazioni, si è attaccato il patrimonio e i servizi pubblici (trasporti, sanità, scuola e un lungo etc.), in nome della “flessibilità”, dell’”efficienza” e di altri feticci che persino una parte (maggioritaria) della sinistra ha cominciato ad adorare. Il risultato è un debito (interno e estero) mostruoso, aumento delle tariffe, ed imposizione di tariffe laddove esse non esistevano. Un’”oasi”, sì, per gli happy few. Si è coperto tutto questo con incentivi al consumo e con sussidi il cui obiettivo era quello di promuovere un passaggio massiccio della popolazione alla “classe C”, un “paese di classe media”. Il risultato? Un indebitamento medio record pari al 44% della rendita annua della popolazione, che duplica se si considerano solo le capitali, e la prospettiva di un debito impagabile. Perché? Per “crescere esportando”? L’anno scorso, crescita zero e caduta della rendita pro capite. Il “recupero” di quest’anno +2,5% del PIL, già è stato deflazionato, rendita pro capite +0%, con l´inflazione al 6%, e con un saldo nella bilancia commerciale di irrisori 6,5 miliardi di dollari, dopo aver alterato la struttura produttiva del paese per trasformarla in una piattaforma per le esportazioni. Per riempire il buco: ancora privatizzazioni (aste dei titoli della Petrobras, gestione privata di ospedali pubblici) e eventi, minieventi e megaeventi, con le sequele di espropri e leggi antiterrorismo. “Manifestazioni come quelle attuali sono soggette ad essere classificate come atti di terrorismo, secondo la definizione proposta dal relatore Romero Jucá nella commissione speciale del Congresso che dà priorità alla legislazione sulla sicurezza in vista degli eventi che il Brasile si appresta a ricevere” – ha constatato correttamente Jânio de Freitas. La Casa Civile della Presidenza si era mossa d´anticipo annunciando che controllerà la partecipazione di funzionari federali nelle manifestazioni. “Destra”? “Terrore”? Cercate da quelle parti. Il discorso di Dilma di venerdì 21 ha confermato la rotta, proteggere i megaeventi e un po’ di soldi del pre-salario per la scuola pubblica, per togliere i giovani dalla strada (ma neanche un accenno alla possibilità di intaccare gli interessi delle varie università private come la Kroton e dei sussidi che ricevono, attraverso il Prouni e il fies). Un programma fatto da un esperto di marketing. Contro tutto questo, il movimento della strada deve elaborare il suo programma: sanità, educazione, trasporto, abitazione, città e spazi pubblici, tempo libero, ed un abbondante “etc.”. Ed arriverà in breve alla conclusione che non si può raggiungere un livello minimo soddisfacente per ogni voce, e per tutte le voci nell’insieme senza toccare i profitti del grande capitale. Discuterà quali saranno gli strumenti per tali obiettivi: da movimento popolare diventerà movimento di classe. Le parole d’ordine politiche ritorneranno nell’agenda. Assemblea Costituente esclusiva? Va bene, ma per (ri)creare che tipo di paese? I pitbull della destra golpista saranno spediti nelle palestre di anabolizzanti. I criminali e gli infiltrati che approfittano della situazione per saccheggiare, a beneficio della repressione e dell’industria privata di assicurazioni, saranno neutralizzati. Il movimento dei “senza partito” si trasformerà, logicamente, in partito, e in breve in (almeno) dieci partiti. Gli spaventapasseri usati per contenere il movimento a favore della manutenzione della situazione (del governo) saranno ridotti alla loro condizione di fantocci di paglia. I partiti politici (non questi) torneranno all’origine nobile del termine che li designa, depurati dai mammiferi dell’erario pubblico e dai faccendieri del grande capitale e simili. Solo così può nascere un nuovo Brasile, non un “Brasile per tutti” (alta borghesia e parassiti della finanza compresi), ma un Brasile dei lavoratori, manuali e intellettuali e dei giovani sfruttati. Al servizio dell’unità socialista dell’America Latina, e insieme ai lavoratori e ai popoli oppressi del mondo che adesso si alzano contro l’imperialismo capitalista in tutti i continenti.
La rivoluzione non è dietro l’angolo. Ma rivoluzione e controrivoluzione (dal volto multiplo) sono lì in agguato. Ognuno scelga da che parte stare.
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