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L’origine lontana dei cattocomunisti

Di falaghiste
Antonio Gramsci, studioso della cultura popolare e fondatore del Partito Comunista d’Italia, sosteneva che la religione era stata per certi aspetti un potente vettore delle idee comuniste nei paesi cattolici e in particolare nel nostro. Nelle case dei vecchi comunisti, ora quasi estinti come i partigiani, non era raro trovare appesi i ritratti di Stalin (ad un certo punto rimossi) di Gramsci ,Lenin e  Marx accanto al rosario, senza che questo generasse stupore o alimentasse un qualche genere di critica.
Negli anni settanta, quando il PCI e la Democrazia Cristiana si contendevano le simpatie e i voti delle masse popolari, i preti operai ( che rifiutavano la parrocchia per lavorare nelle fabbriche al fianco degli operai, condividendone i problemi) furono un fenomeno non di massa ma piuttosto diffuso.
A quei tempi (per esempio) la parrocchia di Scandicci, comune limitrofo a Firenze ma in realtà un sobborgo di casermoni operai di periferia dove il PCI prendeva l’ottanta per cento dei voti, fu retta da un prete che non esitò ad auspicare, in una infuocata omelia, l’abbeverata dei cavalli cosacchi nella fontana del Vaticano, (allora c’era la guerra fredda).
Certo è che i preti la sanno lunga, ergo: se vuoi convertire i comunisti  che vanno alla casa del popolo  e non c’è niente da fare, bisogna trovare il modo che  la domenica vengano volentieri alla messa, e… vuoi mettere le virtù oratorie di don Camillo con quelle di Peppone ?
Tuttavia è impossibile che quel prete (che tra l’altro, dopo quel discorso, fu mandato  dal Vescovo a convertire le popolazioni indigene nella Terra del Fuoco) al comunismo, a modo suo, non ci credesse  per niente. Ed è altrettanto impossibile che i comunisti di Scandicci che ogni domenica affollavano la sua chiesa non si identificassero nelle sue omelie.
Insomma, se non è dato sapere quanto quel prete lo fosse o ci facesse, è sicuro che quei comunisti non erano solo comunisti ma anche cattolici: cattocomunisti, per l’ appunto e nella maniera più naturale possibile.   
Molti di loro odiavano il vaticano e i preti, ma erano disposti a riconoscere che alcuni preti erano diversi, cioè come loro: comunisti . Ma, fatta salva la buonafede, se si crede che un prete possa essere comunista o perlomeno di sinistra  , arrivare a pensare lo stesso di un industriale o di un banchiere il passo è breve…. come ha dimostrato il sennò del poi.
Ora, secondo la ragione, alla quale ci dobbiamo per forza rivolgere (altrimenti dovremmo concludere che fra il comunismo e la religione non ci sono grandi differenze) e secondo la storia, che è una scienza (sebbene, fra tutte, quella che più si presta ad essere stravolta), il comunismo come idea di società e nel suo concreto svilupparsi come movimento politico ha ben poco a che spartire con la religione.
Anzi, esso è stato  il più irriducibile avversario (ricambiato) di tutte le religioni e delle caste sacerdotali che le rappresentano; ma bisogna pure ammettere che da noi almeno fino agli anni novanta la differenza fra gli ideali del cristianesimo (non sempre identificato con la chiesa Cattolica ma nel Vangelo) e quelli del comunismo (non sempre identificato con l’Unione sovietica di Stalin ma con l’autenticità della Rivoluzione russa guidata da Lenin e Trosky) risultasse per  molti aspetti  vaga e informe.
Una specie di sincretismo fra cristianesimo e comunismo, dunque, e i gruppi dirigenti del PCI nulla mai fecero (più o meno consciamente) per contrastarlo, dando per scontata la natura cristiana della cultura delle masse popolari e illudendosi in questo modo di competere con  i democristiani per l’egemonia sulle masse.
Ma pur tenendo conto che: “la cultura delle classi subalterne è quella delle classi dominanti” (cosa che dovrebbe essere scontata per un comunista)  per cui è necessario tenerne conto nella lotta politica, avvallare le credenze religiose ai fini del comunismo, comunque lo si possa immaginare, è una battaglia persa in partenza..
Infatti è avvenuto che la secolarizzazione della cultura popolare non si è attuata tramite l’eresia comunista (considerata precisamente tale dalla chiesa cattolica) ma con la vittoria ideologica e materiale del capitalismo dagli anni novanta fino all’esplodere della crisi globale.
Pierpaolo Pasolini, eccellente cattocomunista (osteggiato dal PCI non solo per le sue abitudini private ma perché amante del sottoproletariato), sosteneva che:“Il fascismo aveva fallito nel cambiare la natura degli italiani ma ci era riuscita la società mercantile di massa.”
Non fu certamente una scoperta originale ma detta da lui assunse rilevanza nel pianeta separato dell’intellettualità progressista organica al PCI; ma i detti intellettuali, se avessero compreso meglio  Marx del Vangelo (cosa difficile per un credente qualsiasi, ma per loro possibile) l’avrebbero data per scontata e quindi non meritoria di considerazione.
Questo non significa assegnare un qualsiasi valore all’immaginario delle masse popolari, magari associandolo alla stupidità anziché al dominio dei potenti, ma bisogna  marxianamente prendere atto, che fino ad un certo punto della storia recente, in Italia ed in Europa, il comunismo si è innestato nella lunghissima tradizione dei movimenti millenaristici medievali; e ciò se per un verso ha contribuito alla sua diffusione (come sosteneva Gramsci) per l’altro lo ha deviato in senso solidaristico, utopico o di pura testimonianza. In parole povere è stato immaginato da ampie masse popolari, specialmente di origine contadina, secondo la morale e la dottrina cattolica (con tutto il portato di tradizioni, superstizioni e subalternità che questo comporta) cioè come l’avvento del paradiso in terra, e non come un’evoluzione della qualità dei rapporti di produzione fra uomo e natura.
E questo è stato un muro quasi invalicabile per  la diffusione della coscienza  della centralità della lotta di classe (e non quella fra il bene il male) come fulcro attorno al quale, da un certo punto in avanti (dopo la fine delle società tribali) si sono sviluppati i rapporti sociali di produzione.
Così, la mancata diffusione del marxismo, come teoria e prassi rivoluzionarie, ha privato le classi lavoratrici di un formidabile strumento di autonomia politica e quindi dei mezzi cognitivi ( di una  coscienza di classe ) per comprendere il tradimento dei propri gruppi dirigenti.    
Evidentemente, che il capitalismo nel suo espandersi potesse fagocitare in pochi anni società e culture millenarie ( lasciandone solo tracce mercificate) non fu mai preso in considerazione e, in pochi anni (i tragici ottanta del craxismo), la cosiddetta egemonia culturale della sinistra e con essa una qualsiasi politica di classe fu risucchiata facilmente dalla reazione come una succulenta merdina da una mosca affamata, lasciando perso e sconsolato il cosiddetto popolo della sinistra: orfano degli Dei ( i burocrati dirigenti ) e delle loro schiere di ben pagati angeli menestrelli.
In quanto ai primi, squallidi ma degni eredi di Togliatti e Berlinguer,  si vede bene cosa siano diventati e non c’è altro da dire; mentre dei secondi può valere la pena ricordarne almeno tre : l’oscarizzato Benigni (dal turpiloquio alla Divina Commedia), il nobelizzato Fo ( dalle case del popolo a Grillo) e l’accademizzato Guccini (dalla locomotivaalla tolleranza zero).
Così, senza cattoe senza ismo, la classe lavoratrice fu pronta al massacro: il resto è storia odierna.
P.S.
Non siamo però  felici d’assistere allo psicodramma di parecchi elettori di sinistra di fronte al governo costituente di unità nazionale fra PD e l’odiato Cavaliere.
Di fronte a loro ci poniamo in pietosa comprensione.
Riguardo ai cattocomunisti invece (ormai più catto che comunisti), assistiamo spiritualmente indifferenti ma sentimentalmente schifati verso il tripudio generale per il nuovo Papa finto povero (come quei mobili d’arte povera che comprano i ricchi), ma obtorto collo dobbiamo ammettere che i preti ne sanno una più del diavolo.
E per forza! Lo hanno inventato loro… o no?

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