Nota di Marco Ferrando (21 aprile 2013)
La rielezione straordinaria del presidente Napolitano misura la crisi straordinaria della seconda Repubblica.
L’onda lunga del voto del 24/25 febbraio non si arresta.
Con le sue sole forze, il Parlamento eletto si è rivelato incapace di esprimere sia un nuovo governo, sia una nuova Presidenza della Repubblica.
La crisi verticale del PD e della sua rappresentanza parlamentare ha rappresentato l’epicentro della crisi politico istituzionale. La supplica corale a Napolitano di accettare il reincarico è stata la confessione pubblica della debolezza del Parlamento.
LA NUOVA FORZA DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA, AL SERVIZIO DELL’UNITA’ NAZIONALE
Nessun “golpe è in atto da parte dei partiti”, come dichiara un buffone reazionario. E’ vero invece che proprio l’empasse delle relazioni tra i partiti borghesi, e in essa la dinamica potenziale di dissoluzione del PD, hanno fornito alla Presidenza Napolitano una forza politica nuova nel suo rapporto coi partiti borghesi e indirettamente col Parlamento.
La soluzione politica di “Unità nazionale” che prima si rivelava impossibile, ora diventa possibile e probabile. Napolitano ha condizionato la stessa accettazione della sua rielezione alla disponibilità dei partiti ad una soluzione d’emergenza. E l’ha ottenuta.
Forme ed equilibri di questa soluzione non sono ancora definiti. Il terreno resta minato. In particolare la crisi senza rete del PD , alla vigilia del suo congresso, si riverbera sugli equilibri parlamentari e lascia aperte alcune incognite sull’ampiezza della base di sostegno del nuovo governo. Né si possono escludere nuove imprevedibili precipitazioni della crisi politica. Ma la Presidenza della Repubblica mira ad usare tutta la sua nuova forza per dettare la soluzione di emergenza. E ha buone possibilità di riuscita.
L’UNITA’ NAZIONALE CONTRO I LAVORATORI, AL SERVIZIO DI INDUSTRIALI E BANCHIERI
La soluzione che si prepara rappresenterà un nuovo attacco alle condizioni sociali dei lavoratori e della maggioranza della società. Dentro una crisi capitalista e una crisi sociale drammatica che si vanno cronicizzando. Il programma del nuovo governo di unità nazionale è già scritto, nelle sue linee di fondo. I cosiddetti “saggi” nominati da Napolitano lo hanno già predisposto persino formalmente: conferma dei patti sottoscritti col capitale finanziario italiano ed europeo, una nuova valanga di soldi alle imprese, un’ulteriore precarizzazione del lavoro, dentro la continuità della politica di Monti.
Peraltro il nuovo governo non si limiterà alle politiche di rapina sociale, per conto della grande industria e delle banche. Proprio la crisi politica straordinaria di cui è figlio lo spingerà a ricercare un riassetto istituzionale: che garantisca “un quadro più certo e stabile di governabilità” delle politiche di rapina.
Grandi sono e restano le contraddizioni paralizzanti fra i partiti borghesi su questo terreno. Tanto più in rapporto ai tempi incerti di durata e consistenza politica del prossimo governo. Ma il tema della “terza Repubblica” tenderà ad assumere in prospettiva un peso centrale. E non si limiterà alla sola ridefinizione della legge elettorale. La questione degli equilibri fra i poteri entrerà di petto nel confronto politico. Lo stesso tema dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica, secondo il modello della Quinta Repubblica francese, è ormai entrato nel campo del confronto politico pubblico dei circoli dominanti. Il presidenzialismo informale di Napolitano ha trascinato con sé lo sdoganamento formale del gaullismo, oltre il confine del vecchio costituzionalismo parlamentare.
RODOTA’ E IL DISEGNO REAZIONARIO DI CASALEGGIO
Dentro la crisi del movimento operaio, il grillismo resta il principale beneficiario della crisi politico istituzionale della Repubblica. E ancor più tenderà a capitalizzare a proprio vantaggio, dall’opposizione, un prossimo governo di unità nazionale.
Per un’intera settimana,le convulsioni di un partito borghese liberale allo sbando come il PD hanno consentito a Grillo/Casaleggio di utilizzare la bandiera di una personalità “democratica”( Rodotà) in funzione del proprio progetto reazionario “contro tutti i partiti” per la loro “abolizione”. Questo era il segno egemone della piazza di Montecitorio.
Rodotà non ha nulla a che vedere con Casaleggio, di cui denunciava mesi fa con parole inequivoche la natura reazionaria. Così Casaleggio non ha nulla a che spartire con Rodotà: al punto da inserirlo due anni fa nell’indistinta “casta” da spazzare via. Il punto è che un movimento populista che mira alla conquista del potere nel nome del “popolo” contro la “casta”, dei “cittadini” contro i “politici”, usa spregiudicatamente ogni possibile arma propagandista per costruire attorno a sé un consenso popolare. Oggi l’arma Rodotà era la più indicata per affondare la lama nell’elettorato del PD. Così come, in altri contesti, la campagna anti migranti appariva lo strumento più conveniente per capitalizzare un elettorato leghista allo sbando. Del resto, i comizi “pro Berlinguer” in Emilia e i civettamenti con Casa Pound a Roma , danno la misura di un populismo senza confini al servizio dell’unico vero progetto ideologico di Casaleggio: quello di uno sfondamento di massa ( “il 100/% del Parlamento”..) in funzione di una Repubblica plebiscitaria. ( Che innanzitutto abolisca il sindacato in quanto “roba dell’800”.)
La verità è che il pellegrinaggio che Casaleggio sta conducendo in prima persona presso le associazioni territoriali di Confindustria per promettere loro l’”abolizione dell’IRAP” ( pagato dal taglio di stipendi e pensioni) documenta la natura reale del grillismo assai più che qualsiasi posa propagandistica d’occasione. Il fatto che buona parte del popolo della sinistra non lo comprenda misura al tempo stesso il disorientamento del movimento operaio e la pericolosità del grillismo. Assieme alle responsabilità di una sinistra sindacale e politica muta ( o compiacente) verso il M5S.
LA CRISI VERTICALE DEL PD LIBERA NUOVI PROCESSI POLITICI
La crisi verticale del PD può mettere in moto nuovi processi nella geografia politica italiana.
Per la prima volta dalla sua nascita il PD si trova realmente di fronte a un possibile processo di frantumazione: frutto del fallimento dell’”amalgama” liberale posticcio che ne ha segnato l’origine; della sconfitta elettorale, sospinta dal rigetto delle politiche di Monti cui il PD si è associato; di una gestione politica folle della fase post voto da parte di un gruppo dirigente allo sbando.
Vedremo se questo processo si svilupperà e, nel caso, con quali tempi, dinamiche, sbocchi. Lo stesso posizionamento verso il nuovo governo sarà una cartina di tornasole di questi sviluppi. Di certo il coinvolgimento del PD in un governo di convergenza con Berlusconi, sulla base di una politica di austerità, sarà un nuovo capitolo del calvario di questo partito, nelle sue relazioni interne, nei suoi rapporti di massa.
Ad oggi l’unità nazionale attorno all’elezione di Napolitano ha rotto il vecchio patto centrosinistra. Una Sinistra e Libertà che sino a 10 giorni fa annunciava la propria disponibilità a confluire nel PD, annuncia il cantiere di una “nuova sinistra di governo” ai danni del PD candidandosi a polarizzare ciò che può liberarsi a sinistra dalla sua crisi. Non è il segno di una “svolta a sinistra” di Vendola. E’ il segno della profondità della crisi del PD e di un possibile terremoto politico in gestazione negli equilibri interni al centrosinistra. E che può investire gli assetti della stessa sinistra italiana.
SOLO IL MOVIMENTO OPERAIO PUO’ DARE SOLUZIONE PROGRESSIVA ALLA CRISI SOCIALE E ISTITUZIONALE
L’intero scenario politico conferma un giudizio di fondo: la crisi del movimento operaio, dentro la crisi capitalista, è il vero carburante dei processi reazionari in atto in tutte le loro varianti.
Solo un’ irruzione della classe operaia nello scenario politico, con la sua forza di massa e con un suo programma indipendente, può alzare una diga contro la reazione e indicare l’unica possibile soluzione progressiva della crisi sociale ed istituzionale: quella di un alternativa dei lavoratori.
Solo questa irruzione può unificare il mondo del lavoro, dei precari, dei disoccupati, offrendo un punto di riferimento alternativo ai sentimenti di “rabbia” e di “rifiuto” che si agitano in vasti settori popolari e che oggi tendono a raccogliersi attorno al grillismo.
Solo questa irruzione può rovesciare i rapporti di forza e aprire dal basso un nuovo scenario politico.
Il PCL porterà questo indirizzo nella manifestazione nazionale che la FIOM ha convocato per il 18 Maggio. L’appuntamento non può ridursi ad una manifestazione sindacale ordinaria. Deve assumersi la responsabilità di rilanciare una prospettiva indipendente del movimento operaio: in aperta contrapposizione all’unità nazionale e a tutti i partiti che ne faranno parte; ma anche al grillismo e al suo progetto sociale e politico reazionario. E dovrà indicare un piano straordinario di mobilitazione di massa a sostegno di questa prospettiva. Perchè il bivio di fondo è molto netto: o il movimento operaio darà la propria soluzione alla crisi politica e sociale, sul terreno anticapitalistico, o sarà la reazione a darla, in un modo o nell’altro, contro il movimento operaio.
La necessità di una sinistra rivoluzionaria che si batta per un alternativa di potere della classe operaia- contro tutti i suoi avversari- è dunque riproposta dal carattere straordinario della crisi politica e sociale.
Non è tempo di una “nuova sinistra di governo” che poi si allei con ciò che resta del PD, come vorrebbe Nichi Vendola. Né è tempo di nuove sinistre “nè carne, nè pesce”, già fallite, che ripropongano “unità” attorno a programmi riformisti (o di puro antagonismo). E’ tempo di una sinistra di rivoluzione. Quella che il PCL ovunque lavora a costruire, controcorrente, con grande determinazione.
MARCO FERRANDO