Conseguenza immediata delle violenta crisi capitalistica è il ridimensionamento delle spese sociali, che fa coppia con selvaggi processi di privatizzazione. Tra le vittime c’è il sistema scolastico, e in particolar modo quello universitario.
IL SISTEMA UNIVERSITARIO AI TEMPI DELLA CRISI:
Tra l’illusione della meritocrazia e la nascita del nuovo proletariato
Conseguenza immediata delle violenta crisi capitalistica è il ridimensionamento delle spese sociali, che fa coppia con selvaggi processi di privatizzazione. Tra le vittime c’è il sistema scolastico, e in particolar modo quello universitario. È noto che attraverso la scuola, la classe borghese tende a riprodurre e a legittimare quelle disuguaglianze sociali che sono strutturali all’economia di mercato: questo si manifesta più spudoratamente nei periodi di crisi. Ma la sottrazione di un diritto fondamentale come l’istruzione non può avvenire senza che le classi subalterne si accorgano della detrazione in atto (in fondo anche l’operaio vuole il figlio dottore!), per questo si è pensato bene di celare questo processo dietro un nuovo principio sbandierato a destra e a manca dalla società e dalla politica borghese: la meritocrazia! Parola che ricorre frequentemente sulla bocca dei promotori della nuova riforma scolastica: quella riforma Gelmini che prevede l’ingresso delle Fondazioni nelle università.
Da lungo tempo è in atto un piano di privatizzazione del sistema scolastico, la crisi economica ha velocizzato il processo. La riforma Gelmini, oltre ad aver sancito l’ingresso del privato nei CdA universitari, ha suddiviso le università italiane in classi, come gli elettrodomestici: A, B, C. Ogni università verrà giudicata in base alla qualità della ricerca, e quelle a cui verrà assegnata la classe A saranno le più prestigiose ma sopratutto (contrariamente ai frigoriferi) saranno quelle che consumeranno di più, perché a loro spetteranno più fondi pubblici. Già ora è in atto questa suddivisione; inutile far notare che questa ripartizione corrisponde sempre alla qualità e al merito solo in un mondo privo di clientelismi accademici (quindi da nessuna parte). Ma pur ipotizzando un mondo di onesti lo scenario non sarebbe rassicurante: da una parte la privatizzazione e dall’altra la diminuzione del gettito statale nelle casse delle università provocherebbero un aumento delle tasse e una diminuzione delle borse di studio. Si instaura così un meccanismo di concorrenza spietata tra gli studenti della classe medio-bassa per l’acceso alle borse nelle università più prestigiose, e chi non entra, non potendo permettersi l’università di classe A, è costretto a ripiegare sulle università di classe B e C. Ovviamente i laureati nelle università di classe A avranno più possibilità di trovare lavori adatti ai propri studi, mentre i declassati dovranno adattarsi a trovare quel che capita (1). Si garantisce così una prosecuzione della suddivisione dei ruoli sociali: il figlio del padrone continuerà ad occupare i posti di potere, perché si può permettere di pagare la retta della migliore università italiana e il figlio dell’artigiano o dell’operaio, se non ottiene la borsa di studio, nel migliore dei casi, finirà per fare l’artigiano o l’operaio, ma laureato!
Venuto meno il mito della laurea come lasciapassare per un futuro di stabilità economica, le stesse famiglie rinunciano a investire nella formazione superiore dei propri figli: il CUN (Consiglio Universitario Nazionale) ha già registrato una diminuzione del 17% degli iscritti negli ultimi 7 anni, una percentuale -inutile a dirlo- appartenente alle classi meno abbienti (2).
Ma non è tutto, bisogna considerare le scuole di specializzazione post-laurea, i tirocini necessari per le abilitazioni e l’iscrizione all’albo professionale: oltre alla difficoltà di accesso, prevedono un costo piuttosto considerevole, sopratutto per uno studente neolaureato che dopo 5 anni di università si trova a dover sostenere nuove e ingenti spese per la sua formazione, tutte prive di agevolazioni e borse di studio.
Ci si potrebbe consolare pensando che l’ingresso delle Fondazioni nelle università può portare a un miglioramento della ricerca italiana: ma vogliamo illuderci a tal punto da non considerare che l’unica ricerca portata avanti dal capitale privato è quella del profitto? Non parliamo di fantascienza tutto questo già accade negli Usa: migliaia di menti giovani usate per migliorare i profitti delle grandi multinazionali. Purtroppo i nostri laureati si sognano anche il posto di lavoro nelle grandi aziende… si sognano il posto e basta!
I dati del XV Rapporto AlmaLaurea parlano chiaro: il tasso di disoccupazione tra i laureati è salito al 23% per le lauree di I livello e al 21% per quelle specialistiche e a ciclo unico, rispettivamente del 12% e 10% in più nell’arco degli ultimi 5 anni. Altrettanto sconvolgenti sono i dati della retribuzione media: 1.049 euro per i laureati di I livello, 1.059 per quelli specialistici e 1.024 per i laureati a ciclo unico. Dunque non c’è nulla da stupirsi se, stando al XVIII rapporto Ismu (4), il tasso di emigrazione è aumentato del 9%: per la prima volta in Italia il numero degli emigranti supera quello degli immigrati.
Non si tratta solo di numeri, ma di giovani laureati che si adattano a ogni tipo di lavoro e firmano ogni tipo di contratto (quando non lavorano in nero). La spiegazione che il sistema dà loro è che la preparazione non coincide con le richieste del mercato; così si spostano, si reinventano, si adattano. Questa loro malleabilità, la loro flessibilità è linfa vitale del capitale: una generazione di sfruttati, cresciuti nella precarietà, che non ha mai conosciuto il concetto di posto fisso, che non può contare su sindacati forti, che non ha spazi di aggregazione sociale al di fuori del web.
Sono loro il nuovo proletariato, ma che con la vecchia classe proletaria ha in comune solo la posizione di subalternità: non sono uniti, perché non hanno uno spazio in cui farlo; vittime della diaspora del precariato, ognuno corre dietro al proprio destino senza riuscire a vedere che accanto ha migliaia di coetanei presi dallo stesso affanno; non hanno una casa, non hanno un lavoro e non hanno nemmeno la prole, perché anche un figlio è un lusso che non si possono permettere! In loro c’è una carica rivoluzionaria che non riesce ad organizzarsi: compito dell’avanguardia comunista è creare spazi in cui condensare questa carica e farla esplodere contro il sistema capitalista.
Bisogna trasformare questi orfani del sistema in classe rivoluzionaria, perché solo l’abbattimento del sistema capitalistico può creare una società veramente meritocratica nella quale i criteri di merito non vengano decisi dall’alto ma dalla collettività, una società veramente libera ed egualitaria nella quale ognuno possa contribuire in base alle proprie possibilità e prendere in base alle proprie necessità.
1«le scuole private fioriscono, mentre l’opera statale decade: si forma così un’aristocrazia della cultura in un deserto popolare, il distacco tra classe colta e popolo aumenta.» Gramsci, Quaderni del carcere.
2 http://www.repubblica.it/scuola/2013/02/04/news/chi_non_si_iscrive_alle_universit-51954498/ . A evidenziare gli intenti classisti delle ultime riforme anche il numero chiuso nelle scuole secondarie: http://collettivostudentescorivoluzionario.blogspot.it/2013/03/selezione-di-merito-e-selezione-di.html
3https://www.almalaurea.it/sites/almalaurea.it/files/docs/universita/occupazione/occupazione11/sintesi_andrea_cammelli.pdf
4 http://www.ismu.org/index.php?page=132#
Martina Mancinelli (PCL Abruzzo)