“Uccidere la dirigenza politica palestinese.
Uccidere gli istigatori palestinesi e i loro finanziatori.
Uccidere i palestinesi che agivano contro gli ebrei.
Uccidere gli ufficiali e i funzionari palestinesi [ del sistema mandatario ]
Danneggiare i trasporti palestinesi.
Danneggiare le fonti di sussistenza palestinesi: pozzi d’acqua, mulini, etc
Attaccare i villaggi palestinesi vicini che avrebbero potuto partecipare ad attacchi futuri.
Attaccare i club, i caffè, i ritrovi palestinesi etc.”
_Piano C o Piano “Gimel” 1947_ “Si possono effettuare queste operazioni nella maniera seguente: distruggere i villaggi (dandogli fuoco, facendoli saltare in aria e minandone le macerie) e specialmente quei centri popolati difficili da controllare con continuità; oppure attraverso operazioni di rastrellamento e controllo, con le seguenti linee guida: circondare i villaggi e fare retate all’interno. In caso di resistenza si devono eliminare le forze armate e la popolazione deve essere espulsa fuori dai confini dello Stato”
_Piano D “Dalet”, 10 marzo 1948_
“C’è bisogno ora di una reazione forte e brutale. Dobbiamo essere precisi nei tempi, nei luoghi e nei bersagli. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo colpire tutti senza pietà, comprese le donne e i bambini. Altrimenti non sarà una reazione efficace. Durante l’operazione non c’è alcun bisogno di distinguere tra chi è colpevole e chi non lo è.”
_Ben Gurion, 1 gennaio 1948_
“ogni attacco dovrà terminare con l’occupazione, la distruzione e l’espulsione”
_Ben Gurion, citato da Danin, testimonianza per Bar-Zohar, pag.680_
Tutte le citazioni sono tratte da “La pulizia etnica della Palestina” Ilan Pappe. Fazi Editore 2008
di Maddalena Robin- La Palestina è sotto attacco sionista da sette giorni. Gaza sta bruciando e le bombe israeliane cadono senza sosta su tutta la Striscia.
L’aggressione israeliana, che per mezzo di bombardamenti aerei, di artiglieria pesante e con missili terra-aria (antiaerei) ha già causato decine di morti e centinaia di feriti tra la popolazione civile, molti dei quali sono bambini, è inquadrata nella cosiddetta Operazione Pilastro Difensivo.
Un’operazione che, stando alle dichiarazioni di Benjamin Netanyahu, avrebbe come obiettivo “distruggere gli arsenali ed eliminare i leader di Hamas” e, quindi, si configurerebbe come un attacco ad “obiettivi militari”, ma che, come sempre, in realtà altro non è se non una vile strage di popolazione colpita in case, scuole, edifici pubblici e strade trafficate.
Allucinati, indignati, addolorati, impotenti siamo di fronte all’ennesima tappa del piano sionista di devastazione e occupazione della terra di Palestina, un piano ben definito, iniziato più di 65 anni fa, come si può leggere dalla piccola carrellata di citazioni all’inizio di questo articolo. Ogni parola mette chiaramente in evidenza il punto centrale su cui si fonda lo stato di Israele: nient’altro che la pulizia etnica, l’espulsione del popolo presente, per insediarsi manu militari su una tabula rasa.
Ben Gurion, il fondatore dello stato di Israele, fu la mente di questa strategia genocitaria, che ha caratterizzato lo Stato di Israele sin dai suoi primi anni di vita e ha segnato, conseguentemente, l’inizio della tragedia palestinese, ricordiamo le sue parole: “ogni attacco dovrà terminare con l’occupazione, la distruzione e l’espulsione” e ancora: “Durante l’operazione non c’è alcun bisogno di distinguere tra chi è colpevole e chi non lo è”
Una strategia di devastazione mai terminata e ancora oggi perseguita con lucida determinazione; perché di “allievi eccellenti” Ben Gurion ne ha avuti tanti, ed ognuno ha aggiunto un suo personale, sadico apporto di crudeltà nell’occupazione militare; fino ad Ariel Sharon.
È a questo ignobile individuo, che dobbiamo non solo di Sabra e Chatila, lo smantellamento della seconda Intifada nel 2002 con stragi come quella di Jenin e molte altre operazioni di pulizia etnica, ma tutta l’impalcatura della colonizzazione dei Territori Occupati e non solo, a partire dall’istituzione del commando speciale Unità 101 (la cui attività principale fu il massacro di civili nei villaggi e nei campi profughi, facendo scempio del concetto di frontiera) per arrivare al suo primo piano di difesa post-1967, che tra avamposti, costruzione della rete stradale, ed installazioni militari altro non fu se non una prima fase di addomesticamento dei Territori, che culminò nel muro dell’attuale colonizzazione, il feroce monumento all’apartheid mediterraneo.
E non è un caso se Gilad Sharon, il figlio di questo assassino, che più di chiunque altro ha contribuito al piano sionista di soluzione finale della Palestina, ieri l’altro ha pubblicato un editoriale sul JerusalemPost intitolato “Una conclusione decisiva è necessaria”, dove sostiene che l’Operazione Pilastro Difensivo non è sufficiente a risolvere i problemi alla radice, che pur essendo “un’operazione ottima e ben gestita”, come accadde con Piombo Fuso, rischia di lasciare “comunque la popolazione israeliana a rischio di essere colpita in qualunque momento”.
Il degno erede di Sharon auspica la “soluzione finale” arrivando a fare l’esempio della bomba atomica: “gli americani non si fermarono ad Hiroshima – i giapponesi tardavano ad arrendersi, così gli americani colpirono Nagasaki”.
(1)Nulla deve restare della Palestina, non una rovina, non un pianto. Questo è l’obiettivo di Israele e a questo si prepara la terra di Palestina.
Mi viene in mente un brano scritto da Franco Fortini nel lontano 1989 “Ogni giorno di guerra contro i palestinesi, ossia di falsa coscienza per gli israeliani, a sparire o a umiliarsi inavvertiti sono un edificio, una memoria, una pergamena, un sentimento, un verso, una modanatura della nostra vita e patria comune. […] La nostra vita non è solo diminuita dal sangue e dalla disperazione palestinese; lo è dalla dissipazione che Israele viene facendo di un tesoro comune. Non c’è laggiù università o istituto di ricerca, non biblioteca o museo, non auditorio o luogo di studio e di preghiera capaci di compensare l’accumulo di mala coscienza e di colpe rimosse che la pratica della sopraffazione induce nella vita e nell’educazione degli israeliani”.
Non è possibile restare indifferenti a tutto questo, ma come agire? Come aiutare il popolo palestinese? Sappiamo bene che non saranno le risoluzioni Onu e neppure colloqui al Cairo a mettere fine a questo orrendo genocidio e tantomeno a disattivare il piano di sterminio sionista. Sappiamo bene che il motto dei democratici e dei riformisti “Due popoli, due Stati” è una misera favoletta, raccontata per riempire sterili manifesti elettorali.
L’unica soluzione resta lo smantellamento dello Stato sionista una soluzione che non potrà mai venire dal mondo imperialista, ma solo da noi, il popolo internazionale unito in una prospettiva rivoluzionaria che distruggendo l’esistente ponga le basi per un nuovo mondo socialista. Per ora il nostro dovere è informare, anzi contro-informare su cosa sia realmente Israele, il sionismo e quali sono i suoi obiettivi e boicottare in ogni modo possibile questo stato assassino ed i suoi alleati.
Mahmud Darwish, il poeta della resistenza palestinese, ha scritto: “Io sto aspettando il momento in cui sarò capace di dire – all’inferno la Palestina , ma questo non accadrà prima che la Palestina torni libera. Io non posso ottenere la mia libertà personale senza la libertà del mio paese: quando la Palestina sarà libera, saro’ libero anche io”. Quando la Palestina sarà libera saremo liberi tutti noi.