La contro natura del capitale
“ La legge dell’accumulazione del capitale mistificata in legge di natura esprime dunque in realtà solo il fatto che la sua natura esclude ogni diminuzione del grado di sfruttamento del lavoro o ogni aumento del prezzo del lavoro che siano tali da esporre a un serio pericolo la costante riproduzione del rapporto capitalistico e la sua costante riproduzione sempre più allargata.”( Karl Marx: il capitale).
Le scienze naturali usano la fisica e la chimica per studiare la materia ricorrendo alla matematica per calcolare le sue trasformazioni quando è sottoposta ad un determinato processo energetico. L’economia usa la matematica per studiare il movimento del capitale soggetto al mercato quando, via via, si trasforma: in denaro, in azioni, obbligazioni, mutui, prestiti, salari, derivati ecc. Siccome la matematica è considerata una scienza esatta i cui risultati sono inconfutabili, gli economisti vengono associati ai matematici, ai chimici e ai fisici, come se anch’essi indagassero la materia e non grandezze virtuali come il valore del denaro. Non si considera che la matematica è anch’ essa un prodotto culturale relativo al comportamento, più o meno omogeneo, dei valori che intende calcolare. Le particelle di una massa d’acqua sottoposte ad una precisa quantità di energia, in parità di condizioni, reagiscono nello stesso modo in quanto tutte uguali, ma lo stesso non avviene per il capitale, le cui particelle, soggette a regime di concorrenza, si comportano relativamente alle capacità dei singoli capitalisti, alla loro diversa quantità – qualità e alle condizioni di produzione ( ambientali ) in cui interagiscono.
“ L’economia è una scienza sociale che ricorre alla matematica per mascherare il conflitto di classe” (Karl Marx)
Per capire l’economia bisogna dunque ricorrere, oltre che alla matematica, alla sociologia, alla psicologia, all’antropologia e alla storia, perché essa concerne l’evoluzione della collaborazione sociale e le varie forme che questa ha assunto nel lavoro e nelle istituzioni, pubbliche e private: lo stato e la famiglia. In sostanza, la natura riguarda le trasformazioni della materia a prescindere dall’uomo, l’economia le trasformazioni del valore che l’uomo assegna alla materia. La teoria liberista afferma che l’economia di mercato è la razionalizzazione della propensione dell’uomo al possesso individuale; l’egoismo ancestrale che altrimenti degenererebbe nella barbarie verrebbe così contenuto dalle leggi del mercato trasformandosi in sviluppo e benessere. La ricchezza privata sarebbe dunque il premio che la competizione ancestrale fra gli individui, mediata dal mercato, assegna ai migliori ( ai capitalisti ) che oltre a soddisfare se stessi promuoverebbero il progresso sociale. Agli altri naturalmente, ai lavoratori dipendenti, ai cosi detti cittadini comuni, non rimane altro che accettare l’immutabilità della loro condizione di inferiorità come l’esito naturale della loro incompetenza economica. Tutto ciò a ben poco a che fare con la scienza e la natura, ma con la cultura- naturale del potere in una società classista, dove una minoranza esercita la propria dittatura attraverso la proprietà privata dei mezzi di produzione materiali e culturali. Il presunto egoismo naturale degli individui non trova nessun riscontro nella storia umana, anzi più si retrocede nel tempo, più ci si avvicina alle origini, alla naturalità dei bisogni umani, più ci si trova di fronte a società comunistiche; senza classi e proprietà privata. Esso a più a che fare con la mitologia del peccato originale che, nelle sue diverse varianti ( ebraismo, cattolicesimo, protestantesimo), si è affermata in occidente per più di un millennio. Dal tardo impero romano fino a tutto il medio, la religione, ha pervaso la vita sociale, regolandone i ritmi di vita e di lavoro e l’immaginario pubblico e privato; fino a diventare oggi il miglior sostegno alla sacralità della proprietà privata.