di Falaghiste – Non ci conforta esser stati profeti di sventura, ma rivendichiamo che l’ avevamo detto: “ o Berlusconi si abbatte sul fronte delle ragioni delle masse popolari e dei lavoratori o il dopo Berlusconi sarà uguale o forse ancora peggio ”.
Invece no! Ci dicevano che l’importante era cacciare Berlusconi, il come non importava, l’importante era che lui se ne andasse e dopo: “ si sarebbe visto “.
Un’altra clamorosa cantonata di un considerevole numero di compagni vicini e lontani, che ponevano al centro della loro idea politica l’anti-berlusconismo, mal condito di un anticapitalismo soltanto formale, ovvero privo di una prospettiva rivoluzionaria e ridotto a critica del neo-liberismo.
Un’idea questa che avrebbe giustificato qualsiasi governo senza Berlusconi e che sottendeva un’ alleanza fra il PD e sinistra radicale (federazione della sinistra e Sinistra e libertà) con il terzo polo di Casini e Fini .
Questo “governo dei sogni” si basava su due principi complementari fra loro, entrambi originati dal residuo di una vecchia e stantia teoria politica social-riformista, per la quale:
“ Bisogna sempre stare con quelli che ci sono più vicini; anche se sono di destra pure loro”.
Il primo, di carattere ideologico, è che la politica esiste soltanto in funzione di accedere a governo per cui: “Ci si deve stare comunque perché sarà sempre meglio che non esserci ”.
Il secondo, come attualizzazione del primo, è che occorreva prima di tutto ristabilire un minimo di legalità democratica, che il Governo Berlusconi aveva palesemente violato e questo anche ha costo di votare un programma ugualmente nemico dei lavoratori e delle masse popolari.
Insomma, la politica in due tempi: una volta sanata l’anomalia Berlusconiana e ristabilita la legalità democratica si sarebbero realizzate, in futuro, le condizioni per un governo effettivamente di sinistra; ovvero la democrazia parlamentare come passaggio indispensabile verso il “socialismo” o comunque verso una “politica di sinistra”.
In una recente intervista Oliviero Diliberto (segretario dei PdCI ) ha chiaramente e sinceramente detto che il suo partito sarebbe stato disponibile a far parte di un governo anche non di sinistra; più chiaro di così!
Non è una novità per i partiti nati dal vecchio PCI e per i dirigenti formatisi a quella scuola.
Nel dopoguerra per Togliatti la democrazia ( non in senso assoluto ma materializzata nel parlamentarismo ) era uno strumento più o meno utilizzabile per raggiungere il comunismo.
Dopo gli anni sessanta questa idea fu messa in discussione, prima dalla spinta liberal della sinistra, in particolare da Ingrao, Trentin e dallo stesso Bertinotti e poi anche dal berlinguerismo che assunsero la democrazia come valore assoluto.
Comunque nel Pci, l’idea togliattiana di democrazia, non fu mai del tutto superata perché la destra migliorista del partito, con a capo Amendola, continuò a considerarla relativa al fine, un mero strumento di governo che può anche essere considerato superfluo.
Ancora negli anni ottanta il vice di Amendola alla guida dei miglioristi era Napolitano che poi ne divenne il capo, fino all’esplosione di tangentopoli, dove la sua corrente fu travolta dalle inchieste sulla corruzione.
Questo non significa che Napolitano sia come Togliatti anzi è in effetti il contrario.
Per Togliatti la Costituzione e la conseguente forma istituzionale parlamentare erano, seppur all’interno di profondi compromessi con la borghesia e i suoi partiti, uno strumento progressivo delle classi popolari.
Per Napolitano invece la democrazia è una tecnica il cui fine è il mantenimento del dominio della borghesia e del capitalismo.
Vi si può ricorrere o meno, appunto, e quando non serve o sarebbe d’intralcio (nel nostro caso le elezioni anticipate )si può tranquillamente abolire, sostituendo un capo del Governo eletto ( per quanto schifoso ) con uno nominato dalla BCE e nemmeno parlamentare.
Napolitano è due volte traditore: non solo ha tradito il mandato di garante della Costituzione ma la buona fede, ed è assai peggio, che molti ingenuamente hanno riposto in lui credendolo di sinistra, ma così facendo si è dimostrato il vero leader del Partito Democratico.
Non è che ci sia da stupirsi più di tanto. La realtà non ha niente a che fare con le varie teorie sulla democraticità delle istituzioni parlamentari e l’uso che si può fare di esse; il parlamentarismo è soltanto una tecnica ( anche provvisoria ) e qui i miglioristi avevano ragione, per imporre la legge delle classi dirigenti, per far credere “Al popolo bue” che è lui che comanda, tramite uno scarabocchio apposto, ogni qualche anno, su un pezzo di carta.
E non c’è niente di più vigliacco, ipocrita e bugiardo nel far credere che le masse popolari siano in grado di scegliere la politica del paese, che siano loro a decidere con cognizione di causa-effetto che cosa significa fare questa o quella politica economica o internazionale, o riguardo la sanità, o la pubblica istruzione.
La vera democrazia significa ben altro: un livello di partecipazione e coscienza ben superiore a quella attuale. Che può realizzarsi solo con il controllo sociale dei mezzi di produzione perché è li che si forma l’individuo: “Nei modi e nelle forme in cui egli, nella collaborazione sociale, contribuisce a modificare la natura per procurarsi ciò che gli serve”.
Il parlamentarismo che legittima il Governo Monti è il re nudo che mostra il culo ai propri padroni. Finalmente senza orpelli e merletti, la democrazia borghese (alla quale, per altro, ormai nessuno si appella) si dimostra quasi uguale ad una totale dittatura; alla faccia di tutti gli adoratori della Costituzione che hanno ancora il coraggio e la faccia tosta di definirsi di sinistra.
Ebbene se deve essere dittatura che sia, ma quella del proletariato e non dei padroni!