Il paternalismo: un vecchio vizio della borghesia
La retorica dell’imprenditore locale poggia sulla critica al sistema creditizio “avaro nell’erogare prestiti”, e nel paternalismo provinciale che vorrebbe accreditare la logica che, “se va bene l’azienda va bene anche il lavoratore”.
Posto che le banche sono imprese e in regime capitalista perseguono la via del profitto c’è da chiedersi da che mondo sbarca Celli. E’ lui che per anni ha fatto profitto in questo sistema e oggi vorrebbe essere lui a criticare lo stesso sistema che lo ha ingrassato?
Un vecchio comico avrebbe detto: ma mi faccia il piacere!
L’unica alternativa allo strapotere bancario passa dal governo operaio che dei Paolo Celli non sa francamente che farsene.
Lo stesso Celli arriva inoltre a sostenere: “non si può continuare a ragionare ancora oggi su schemi che richiamano contrapposizioni padrone/lavoratore anacronistiche, vecchie di trent’anni o più”; evitando accuratamente di dirci che il suo atteggiamento non è certo “nuovo” ma ritorna direttamente all’800 dove le relazioni sindacali non esistevano e il rapporto tra padrone e lavoratore era appunto quello paternalista che si permetteva, fuori da vincoli contrattuali, di pagare i sottoposti quando lo riteneva opportuno e a quanto gli appariva legittimo. E infatti non solo il lacrimevole appello di Paolo Celli risulta vomitevole dal punto di vista teorico, ma persino dal punto di vista umano. Come si fa a chiedere ai lavoratori di sacrificarsi (straordinari e sudditanza all’azienda) e raccontare bellamente ai quattro venti che la sua impresa è tuttavia costretta a ritardare l’erogazione degli stipendi?
Ma non è finita qui, rispetto alle “rigidità sindacali” (leggi diritti), padron Celli ha dichiarato apertamente: “a questo punto non escludo ipotesi di delocalizzazione. Il mercato italiano è fermo e vendiamo all’estero più del 60%: siamo un’azienda che assembla pezzi, non sarebbe un problema il trasferimento.
Ma sia chiaro a tutti che noi il piano di ristrutturazione lo metteremo in pratica, a qualunque costo”.
Il personale dal 2009 è già stato ridotto di 10 persone (che lor signori chiamano unità) e Celli che non è certo un parvenu (ha già svolto il ruolo di vice-presidente provinciale di Confindustria) ha sostenuto: “Confindustria è un po’ timorosa e frenata dal ‘politicamente corretto”.
Insomma i padroni ci stanno dichiarando guerra non solo dal fronte della grande impresa, ma anche in maniera persino meno velata dalla media piccola-impresa.
Il metodo Marchionne ha fatto scuola anche in provincia.
Che fare? Rispondere con una radicalità uguale e contraria.
E’ ora di dire ai Celli e alla sua stirpe che se ne vadano, ma senza indennizzo e senza mezzi di produzione! Senza dignità e senza la possibilità di vendere più nulla in questo paese! Rilanciamo con forza la campagna per la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle aziende che inquinano, licenziano o minacciano delocalizzazioni!
I padroni, sia che essi siano a dirigere una banca o a condurre un’azienda, sono i veri extra-comunitari della nostra società, perché sono appunto al di fuori della comunità di quanti, nativi o immigrati, sono costretti a vendere la propria forza lavoro per “sbarcare il lunario”.
Come ha scritto Marx: invece del motto conservatore, “un giusto salario giornaliero per una giusta giornata lavorativa” dobbiamo scrivere sulle nostre bandiere la parola d’ordine rivoluzionaria: “abolizione del sistema del lavoro salariato!”.
In altri termini lavorare senza padroni si può, sono i padroni che non possono fare a meno di noi!
Ma i Paolo Celli del mondo ne stiano certi: tornerà il giorno delle strade e delle bandiere rosse sulle barricate.
Il 15 ottobre a Roma saremo per le strade con ancora più odio: grazie Celli!
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