Marcegaglia: l’accordicchio del sindacaticchio
Dopo che i lavoratori avevano già bocciato, un mese fa, una prima ipotesi di accordo, l’RSU ( a maggioranza FIOM ) ha riproposto un accordo quasi uguale al precedente.
Nonostante i delegati FIOM, escluso uno, abbiano invitato i lavoratori a votare a favore, la metà degli operai ha votato contro.
L’accordo, quindi, è stato approvato solo grazie al voto favorevole dei colletti bianchi e dei capetti: si 193 voti ; no 124.
Un disastro per la FIOM, che s’illudeva che i lavoratori, ormai stanchi delle lunghe trattative, la seguissero, mentre al contrario, gran parte di questi hanno dimostrato di non voler essere presi in giro da un sindacato ( la FIOM) che: prima, si era presentato come l’unico in grado di ottenere qualcosa e dopo, calava le brache in mano al padrone.
In conclusione: la Marcegaglia è un’industria che fa profitti, ma per gli operai, niente!
La cronaca non è sufficiente a descrivere l’incredibile serie di errori compiuti dai delegati FIOM-RSU e dai dirigenti sindacali esterni che, oltre a riuscire a peggiorare il contratto mentre c’erano le condizioni per migliorarlo, hanno seriamente danneggiato la loro credibilità di fronte ai lavoratori. Inoltre, hanno rimesso in gioco i sindacati padronali FIM e UILM che, ovviamente, fin dall’inizio erano favorevoli all’accordo. Infatti, alcuni delegati UILM e FIM non hanno approvato l’accordo, guardandosi bene però d’ invitare i lavoratori a votare contro. Risulta evidente la vecchia tattica democristiana (per chi se la ricorda) che bisogna sempre mettere: “uno dei nostri ” in campo avverso perché potrebbe poi: “farci comodo” .
Comunque c’è da scommettere che, alle prossime elezioni RSU, la FIOM la pagherà cara in termini di consenso. Perché si è accettata la trattativa nel momento peggiore, cioè quando l’azienda non si trovava sotto pressione… cosa che accadrà a settembre quando arriveranno grosse commesse? Perché non si è cercato di trattare quando il padrone maggiormente temeva lo sciopero?
Non si era forse deciso in assemblea di aspettare, per l’appunto, il mese di settembre per riaprire il tavolo negoziale?
Perché si sono accettate trattative lunghe e sfibranti con ridicole mediazioni prefettizie, utili solo per fiaccare la resistenza dei lavoratori?
Perché non è stata riproposta la piattaforma che i lavoratori avevano approvato all’inizio delle trattative?
E perché su richiesta dell’azienda questa piattaforma, senza colpo ferire è stata subito cestinata?
Insomma, Colpisce la leggerezza con cui è stata seguita tutta la vicenda dalla Camera del Lavoro di Forlì, che ha agito fin dall’inizio come se avesse a che fare con un contratto qualsiasi, a meno che non si sia trattato, invece, di una vera e propria volontà politica del sindacato di venire incontro all’azienda.
Forse questo contratto doveva chiudersi, rapidamente e a favore dell’azienda, per una serie di ragioni che riguardano questioni politiche molto importanti. Chi sostiene che le trattative sindacali non riguardano la politica o è un imbecille o è in malafede, perché non c’è niente di più politico che un accordo sindacale, visto che si tratta di stabilire il rapporto di forza fra classi sociali e quindi influire direttamente sull’economia. Ebbene, in tutto il corso della trattativa non si è parlato, anzi è stato fatto mancare un soggetto politico centrale cioè il presidente di CONFINDUSTRIA Emma Marcegaglia il cui nome , guarda caso, coincide con quello dell’azienda in questione.
Ora, è vero che la FIOM di pessimi contratti locali, di azienda e di gruppo, ne firma tanti, alla faccia dell’immagine combattiva di cui si fregia a livello nazionale, ma da qui a pensare che la trattativa di Forlì sia del tutto estranea alla vicende politiche nazionali ce ne corre.
In questi giorni, infatti, la Marcegaglia si è adoperata per convincere il governo a salassare il più possibile e senza indugio i lavoratori per risanare il bilancio dello Stato, ( in rovina proprio per aver generosamente foraggiato quelli che lei rappresenta, cioè i padroni ).
Oltre a questo da pochi giorni CONFINDUSTRIA ha firmato proprio con la CGIL ( insieme a CISL e UIL ) un nuovo patto di concertazione sulla pelle dei lavoratori. . Insomma, se non altro che per una questione di prestigio (a certi livelli il prestigio significa credibilità politica), il contratto Marcegaglia conta molto e questo aumenta i sospetti che qualcuno delle alte sfere sia FIOM che CGIL lo voglia usare come merce di scambio per futuri giochi politici; del tipo “ Vedete che tutto sommato la FIOM non è poi così estremista?”.
Non dimentichiamo che alla fine la FIOM fa parte della CGIL e quest’ultima dopo la parentesi degli accordi separati, (in previsione del governo di centrosinistra) si avvia di nuovo, ad essere parte organica della banda di ladri che vive alle spalle dei lavoratori.
La FIOM rimane ancora l’unico sindacato dove ancora vale la pena stare, ma per quanto tempo ancora?
O si sta con i padroni o con i lavoratori e questa penosa vicenda del contratto Marcegaglia ( per la FIOM e per i lavoratori) lo dimostra ancora una volta.
COME AL SOLITO quelli favorevoli all’accordo ripeteranno la solita liturgia: diranno che questo è un’ accordo dignitoso per i lavoratori. Noi diciamo invece che: “l’unico modo che hanno i lavoratori per esprimere la loro dignità è dimostrare la propria forza al padrone ottenendo quello che il padrone non vorrebbe concedere”.
Invece è questo accordo che viola la dignità dei lavoratori, la loro buona fede e la loro residua (molto residua) fiducia in questi sindacati.
In tutta questa disastrosa vicenda, per la FIOM stessa e per la prospettiva futura di un vera politica sindacale, l’unica dignità appartiene a quei lavoratori, delegati e non, che coerentemente si sono battuti fin dall’inizio dalla parte dei loro compagni di lavoro.
A loro appartiene il futuro, agli altri….. il nulla!
La Croci…. in croce
La Croci di Bertinoro, azienda storica con circa 70 dipendenti, specializzata nella produzione di tapparelle avvolgibili metalliche ristagna in una crisi da cui, per il momento, non si vedono vie d’uscita. Più passa il tempo più appare ineluttabile, quando terminerà la cassa integrazione, una drastica riduzione del personale. Una situazione che nessuno è in grado, o vuole affrontare: né la direzione dell’azienda né i sindacati.
Di aziendine come la Croci il nostro territorio è pieno, ma non tutte si trovano nella situazione di questa che ha accumulato uno spaventoso ritardo tecnologico e produttivo in aggiunta ad una situazione finanziaria ai limiti del fallimento.
Eppure alcune aziende concorrenti, negli ultimi anni, si sono rilanciate diversificando la produzione per adattarsi alla flessibilità del mercato e ora sono in ripresa.
Alla Croci invece sembra che il tempo si sia fermato e che le questioni che riguardano l’efficienza produttiva, come l’ammodernamento dei macchinari e l’organizzazione di un ufficio tecnico efficiente, siano state ignorate a vantaggio di una gestione esclusivamente finanziaria dell’azienda.
I pochi investimenti fatti sono risultati più di facciata che rispondenti ad un vero progetto organico di rilancio, rivelandosi inadeguati e, in alcuni casi, del tutto assurdi.
Al padrone l’azienda interessa solo per spremere fino in fondo i lavoratori.
Infatti, mentre si fa cassa integrazione, lavorando un giorno in meno alla settimana, permane il pesante aumento dei ritmi di lavoro che già era stato imposto nel 2004 con l’arrivo dell’attuale direttore.
Questo ha causato una costante e progressiva crescita delle malattie professionali da sforzo. Ogni padrone sa bene che: “ la pecora va tosata e non scorticata “ ma in questo caso avviene il contrario e questo getta una luce inquietante sul prossimo futuro. A guardar bene, comunque, il comportamento dei Croci non è molto diverso da quello di molti altri padroncini che cercano, comunque vada la loro azienda, di approfittare della crisi generale per aumentare lo sfruttamento degli operai grazie anche all’uso degli ammortizzatori sociali come flessibilità.
Anche qui c’è da piangere nel vedere la totale connivenza dei sindacati con le scelte aziendali nell’approvare una cassa integrazione che, in queste condizioni, è un furto ai danni dei lavoratori e dei contribuenti.
Lavoratori! E’ giunto il momento di prendere l’iniziativa per costringere il sindacato ad uscire dall’inedia. Non è facile scrollarsi di dosso una lunga passività alle decisioni padronali ed è difficile per i sindacati stare con gli operai contro il padrone, ma è necessario!
Con la crisi globale le cose stanno cambiando e se i lavoratori non hanno il coraggio di rimettersi in gioco il futuro, per molti di loro, sarà difficile.
Bisogna scegliere: o si lotta o si perde!
Occorre pretendere dall’azienda la presentazione di un vero piano di rilancio produttivo garantito dall’apertura dei libri contabili per verificare la vera entità della crisi.
Non c’è tempo da perdere: se si aspetta che il padrone si sia mangiato tutto per i lavoratori non rimarrà niente.
E’ giunta l’ora del controllo operaio.
L’insostenibile schifezza della cassa integrazione
La conflittualità dei sindacati: CGIL, CISL e UIL, rispetto alla crisi di alcune aziende del nostro territorio, si limita nel rivendicare la gestione degli ammortizzatori sociali senza mai contestare i licenziamenti. Questo vale per le aziende grandi come per quelle piccole; una situazione diffusa e inquietante che i mass media ignorano ma che produrrà in un prossimo futuro sempre più disoccupati. Eccone alcuni esempi, ma c’è da scommettere che ci sono molti altri casi simili diffusi nel territorio. Questo nella totale indifferenza dell’informazione e delle istituzioni di questa repubblica dei padroni.
ELECTROLUX di Forlì: azienda leader europeo nella produzione di apparecchiature per la cottura domestica dei cibi (cucine, forni ,piani cottura ecc. ) con oltre mille dipendenti.
Ha annunciato un piano di ammodernamento e rilancio che si completerà nel giro di qualche anno. Attualmente è prevista la cassa integrazione a rotazione per 2 anni che finirà nel 2012 nel corso dei quali sono previsti 280 licenziamenti.
Inoltre è probabile ancora una riduzione del personale negli anni successivi.
Aumenteranno i ritmi di lavoro e la produttività; relativamente caleranno il salario reale e quello relativo.
Tutto questo gestito sindacalmente con due accordi senza azioni significative di lotta.
OMSA di Faenza: famosa azienda nella produzione di calze, con 300 dipendenti, quasi tutte donne. Il padrone ha chiuso per delocalizzare e per speculare sul terreno dove si trova l’azienda, oltre che per riassumere con contratti peggiori.
Dopo la solita cassa integrazione, le operaie inesperte sindacalmente, si fanno smontare le macchine da “sotto il culo”. I sindacati non si muovono, se non per sfibrare le lavoratrici con le soliti inutili mediazioni istituzionali e ridicoli concerti di solidarietà. Ora sono tutte a casa.
MICROMECCANICA di Forlì: storica azienda forlivese specializzata nella produzione di rubinetteria, che impiegava 40 operai. Dopo una fase di crisi che però non sembrava ineluttabile il padrone decise la serrata. I lavoratori quando tornarono dalle ferie si trovarono di fronte i cancelli chiusi.
Arrivano i sindacati, “lancia in resta”, si fa un picchetto davanti all’azienda che dura per svariate settimane. Dopo lunghe e dure trattative (a detta dei sindacati ), si ottiene la cassa integrazione e poi? L’azienda chiude, naturalmente!
RINTAL di Forlì: circa cento lavoratori impiegati e anche in questo caso un’azienda senza tradizione sindacale. Dopo cassa integrazione gestita in maniera clientelare il padrone annuncia venti esuberi ; un quinto dei 100 dipendenti. Intanto il padrone investe in un nuovo capannone intestato ad una nuova società e fa altri investimenti. Arrivano i sindacati che impongono la gestione concordata dei licenziamenti. Anche qui nessuna contestazione degli esuberi.
Questo è il sindacato al servizio della ristrutturazione capitalista che dice ai padroni:
“Vuoi evitare il conflitto? Hai bisogno di tempo per risanarti l’azienda? Vuoi ottenere il massimo degli ammortizzatori sociali per usarli come flessibilità? Vuoi alla fine licenziare ?
Siamo qua! Con noi ti costerà un po’ di più, ma eviterai problemi…”
BASTA con questo schifo!
Per sottrarre i lavoratori dal ricatto della disoccupazione e finirla con il furto di denaro pubblico da parte dei padroni, l’unica soluzione è sostituire la cassa integrazione con un SALARIO SOCIALE GARANTITO (di almeno mille euro al mese) per tutti i disoccupati in cerca di lavoro.