In quelle calde giornate del luglio 2001 anche noi eravamo a Genova contro l’imperialismo e il sistema capitalista.
Eravamo un piccolo nucleo marxista rivoluzionario e internazionalista che, costruendosi sul granito dei principi, si ancorava saldamente al programma di transizione della IV Internazionale, e respingendo le idiozie post-fordiste rilanciava con forza lo scontro tra capitale e lavoro. Già da allora controcorrente, non accettavamo le fandonie dei disobbedienti, e respingevamo le illusioni dei riformisti, dei pacifisti e dei movimentisti.
La stampa, quando ci citava, ci definiva trotskisti, ma le prime pagine erano in massima parte dedicate a tute bianche e no-global.
Sono trascorsi 10 anni da allora e possiamo, senza timore di smentita, definirci quella generazione di combattenti sociali che all’alba di un nuovo secolo si è affacciata con la certezza che un “altro mondo” non solo era possibile ma era (e continua ad essere) necessario.
È in questo contesto, in un momento storico in cui, nello scacchiere internazionale le ragioni dell’anticapitalismo erano confermate dalle guerre, dalle migrazioni e dalle crisi cicliche del modello economico, che molti di noi hanno scoperto l’attualità del marxismo e la necessità del partito internazionale ed è per questo che in questi anni di militanza ed impegno politico, numerosi compagni si sono sommati a quel piccolo nucleo di trotskisti che testardamente, con coerenza e coraggio, manteneva in piedi alta la bandiera dell’alternativa di classe.
Allora ci dissero: “State a casa a Genova ci sarà battaglia”, ma finimmo per accettare la sfida e partimmo ugualmente. Da quelle giornate, a differenza di altri, non abbiamo più smesso di combattere.
Mentre la stagione dei social forum andava esaurendo, fino a sparire nel volgere di pochi anni, noi lavoravamo, nei movimenti come nelle fabbriche, alla costruzione del partito della rivoluzione mondiale; e mentre le associazioni umanitarie si scandalizzavano per i soprusi da macelleria messicana perpetrati dalle forze di polizia nelle giornate di Genova (Amnesty International arrivò persino a dichiarare che si era di fronte “Alla più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”) noi, senza ingenuità, replicavamo che la dittatura di capitalisti e banchieri non era mai stata tenera con i proletari in lotta e ricordammo i manganelli democratici degli anni ’50 dei Reparti celere di Scelba, i morti di Reggio Emilia, le leggi d’emergenza per archiviare gli anni ’70 che hanno caratterizzato l’ignominia della storia d’Italia.
Abbiamo ricordato che pochi mesi prima (nel marzo 2001) a Napoli un governo di altro colore, ma sempre al servizio del capitale internazionale, aveva represso le proteste contro il G8 con brutalità e violenza, quale infame preludio del sanguinario agguato di luglio. Abbiamo ricollegato la mattanza di Genova al contesto internazionale richiamando le repressioni di Seattle (1999) e Göteborg (giugno 2001).
Dopo Genova furono i nostri compagni in Argentina nel giugno del 2002 a subire un analogo attacco repressivo ad Avellaneda, dove vennero uccisi Maxi Kosteki e Dario Santillan.
A un anno di distanza dall’uccisione di Carlo Giuliani, mentre il capitalismo internazionale dimostrava con evidenza sempre maggiore che la repressione era una strategia unitaria noi denunciavamo sempre più chiaramente che contro la risposta violenta e repressiva del capitale era (ed è) necessaria una risposta altrettanto radicale, unitaria e internazionale del proletariato.
In questi 10 anni abbiamo assistito a riflussi, brusche svolte e persino, non ultimo, a veri e propri processi rivoluzionari (come abbiamo visto recentemente in Nord Africa).
La rivoluzione è tornata a far capolino nel nuovo secolo, ma è tornato a scorrere anche il sangue pagato dai militanti rivoluzionari: a migliaia nel mondo arabo, a decine in America Latina tra cui il nostro compagno Mariano Ferreyra assassinato lo scorso anno dalla burocrazia sindacale.
In questi 10 anni abbiamo visto gli Stati assolvere i criminali in divisa; e in Italia, i principali responsabili delle mattanze di Genova hanno persino avuto riconoscimenti e promozioni. Fini è presidente della Camera; Scajola è stato rinominato ministro del governo Berlusconi; De Gennaro, a quei tempi capo della polizia, è stato promosso a capo gabinetto del ministero dell’Interno dal governo Prodi (sostenuto dai rottami opportunisti di sinistra).
L’allora vicecapo della polizia Ansoino Andreassi è stato promosso a vicedirettore dei servizi segreti del Sisde. Il capo della Digos Spartaco Mortola, che comandò la spedizione nella scuola Diaz è diventato questore.
Francesco Gratteri allora capo del Sco (Servizio centrale operativo) è stato nominato a capo del dipartimento antiterrorismo (ex-Ucigos). Il braccio destro del prefetto La Barbera, Giovanni Luperi è diventato capo del dipartimento analisi (ex-Sisde) rinominata Aisi. Alessandro Perugini, numero due della Digos genovese è diventato vice-questore ad Alessandria. Dei 45 poliziotti imputati per il massacro avvenuto a Bolzaneto, nessuno è stato costretto alle dimissioni. Mario Placanica materiale assassino di Carlo Giuliani è stato prosciolto per legittima difesa.
Sono state prescritte le centinaia di violenze commesse dalle forze dell’ordine nelle strade di Genova e nelle celle dove si arrivò persino alla tortura.
Il tutto mentre 25 manifestanti imputati per “devastazione e saccheggio” nel 2009 sono stati condannati per 99 anni di carcere e un risarcimento di 23 mila euro!
È questa l’essenza della democrazia borghese, e per dirla con Marx: “Finché la violenza di stato si chiamerà giustizia, la giustizia del proletariato non potrà che essere chiamata violenza” … com’è recentemente accaduto in Val di Susa.
Dopo 10 anni siamo qui ancora più determinati e convinti che un altro mondo è certamente possibile, a patto che ci si ponga al di fuori delle illusioni riformiste e delle chiacchiere pacifiste.
Ed è per questo che rifiutiamo senza mezzi termini tutte le organizzazioni ed i partiti che, in forma aperta o velata, addormentano, demoralizzano, snervano il proletariato esortandolo a inchinarsi di fronte ai feticci di cui si veste la dittatura della borghesia: la legalità, la democrazia, la difesa nazionale.
Rifondare la quarta internazionale è il solo modo per fare giustizia non solo delle mattanze di Seattle, Davos, Goeteborg, Avellaneda, Atene e Genova… ma di un intero modello sociale basato su guerra, povertà e sfruttamento.
“Il proletariato ha una pazienza infinita, ma anche una memoria prodigiosa. Stiano certi i signori al potere, alla fine nulla resterà impunito”.