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Volantino a cura della cellula operaia del PCL

Fincantieri: “La lotta paga, ma non finisce qui.”
L’amministratore delegato della Fincantieri Giuseppe Bono, dopo mesi di annunci e smentite sul futuro degli stabilimenti, aveva avuto la faccia tosta di presentare un piano “anticrisi” che sarebbe costato il posto di lavoro a migliaia di lavoratori fra i dipendenti diretti e quelli delle ditte sub-appaltatrici privi di ammortizzatori sociali. Il piano prevedeva la chiusura degli stabilimenti di Castellamare di Stabbia, di Sestri ponente e Riva Trigoso, cioè tre sugli otto stabilimenti presenti sul territorio nazionale, con il licenziamento di 2551 lavoratori su un totale di 8.500 addetti. Di questi un migliaio sarebbero stati “spalmati” negli altri stabilimenti del gruppo ( Palermo, Muggiano, Marghera, Ancona e Monfalcone ). Oltre a questo era previsto un aumento dei carichi di lavoro in linea con quanto applicato da Marchionne alla Fiat. Questo piano andava respinto integralmente, non c’era nulla da trattare:
“ Non si può scaricare la crisi capitalistica di sovrapproduzione che investe il settore sulla pelle dei lavoratori ed è inaccettabile la messa in concorrenza fra lavoratori italiani e quelli della cantieristica di altri paesi ( Stati Uniti, Germania, Francia, Polonia, Corea del Sud ).
I lavoratori hanno capito quale era la partita in gioco: che il “piano” andava respinto integralmente, pena una sconfitta devastante per loro e per tutta la classe operaia italiana. Senza ulteriori indugi hanno contrattaccato: ad Ancona hanno occupato la ferrovia, a Genova il corteo operaio si è rivolto contro la Prefettura, mentre a Castellamare, è stato occupato il municipio. Non è negli uffici prefettizi o nel chiuso degli incontri “concertativi” che, alla fine, si è risolta la crisi, ma per le strade e sulle piazze, dove i lavoratori hanno costruito la loro forza, trovando anche alleanze sociali per sconfiggere l’attacco padronale. I fatti: venerdì tre giugno treni speciali portano 2000 operai a Roma dove all’Eur, presso il ministero dello sviluppo economico, si tiene la riunione fra il ministro Paolo Romano e i sindacati. Nel frattempo 1300 lavoratori sfilano per le vie del centro della capitale fregandosene dei limiti imposti per questioni “d’ordine pubblico”; vengono dai cantieri di Sestri Ponente e non si fanno intimidire dall’imponente schieramento poliziesco che lo Stato dei padroni ha messo loro intorno. Alle ore 15.00 arriva la notizia: “Le trattative si sono concluse con il ritiro, da parte dell’amministratore delegato G.Bono, del piano di chiusura e dei licenziamenti.” Ora la palla passa alle Regioni e alla U.E mentre si attiveranno gli ammortizzatori sociali necessari per coloro che rimarranno senza salario. Senza dubbio una giornata di vittoria operaia contro l’arroganza padronale ( sono padroni anche i burocrati di Stato) ma che prelude sicuramente a nuove lotte perché
Giuseppe Bono ha già dichiarato che: “ occorre essere competitivi con il far-east ”, cioè con la Cina e questo la dice lunga quali siano le sue intenzioni future. Comunque una lezione potente per tutti i lavoratori italiani; certo ancora una lotta difensiva, ma che dimostra che la classe operaia quando è unita non ha paura di niente e di nessuno. Si tratta di unirsi per superare la frammentazione delle lotte, fabbrica per fabbrica, gruppo per gruppo, unificandole sulla base di un programma che chiarisca almeno due punti: nessun stabilimento deve essere chiuso, nessun lavoratore licenziato e il lavoro che c’è ridistribuito tramite la riduzione dell’orario a parità di salario; e poi una cosa deve’esser chiara : che non c’è vittoria marciando divisi!

La lotta di classe, strumento per capire la politica

Per i marxisti la storia dell’umanità è anche una storia di lotta fra classi sociali. Il genere umano in un punto della sua storia si è diviso in gruppi con poteri e prerogative diverse: ai vertici le classi o la classe dominante, in mezzo le classi intermedie e sotto la maggioranza, il popolo, ovvero le classi subalterne. Perciò occorre sottolineare che le società classiste, rispetto alla durata della storia umana, sono un tipo di organismo sociale relativamente nuovo. Precedentemente per molti millenni gli individui hanno vissuto in un regime di sostanziale uguaglianza, al contrario di quanto afferma la propaganda reazionaria e clericale, che vorrebbe la gerarchia iscritta geneticamente nella natura umana. Comunque, nel momento in cui si formano comunità di una certa complessità inizia la lotta fra classi per il controllo dei mezzi di produzione; che ancora oggi prosegue. Nel procedere della storia, le classi sociali, si sono trasformate continuamente in un rapporto dialettico e continuo con le trasformazioni tecnologiche e istituzionali, con il cambiamento dei rapporti sociali, della cultura, delle ideologie ecc; e ciò è avvenuto in maniera tale da rendere irriconoscibili alcuni aspetti della lotta di classe e, in alcune circostanze, la lotta di classe medesima ( mimetizzandola con nazionalismi, razzismi, integralismi religiosi e superstizioni di ogni sorta ). Per questo, anche il riconoscimento pubblico della lotta di classe riguarda la lotta di classe, essendo risultante dei rapporti di forza fra classi sociali antagoniste. Le classi dominanti cercheranno sempre di negare la lotta di classe, per giustificare o nascondere i propri privilegi, mentre quelle subalterne lotteranno per renderla parte della coscienza popolare e del senso comune prevalente. Nonostante queste difficoltà essa rimane uno strumento eccezionale per comprendere, non solo le dinamiche sociali prevalenti ma anche parte dei rapporti individuali. La lotta di classe non concede nessuna via di uscita compromissoria; le classi dominanti, in quanto tali, esistono se esistono le classi subalterne e viceversa e quindi: ” che lo sfruttamento esercitato dalle classi dominanti sia più o meno intenso a seconda della fase storica, risulta irrilevante ai fini dell’utilità politica dell’analisi teorica basata sulla lotta di classe”. Per esempio può succedere, come

è successo nel periodo precedente la crisi, che anche le classi subalterne possano godere di un notevole benessere materiale, ma la classe dominante, all’occorrenza ( in caso appunto di crisi economica) ha sempre disponibili gli strumenti per riprendersi ciò che ha concesso, o che ha dovuto cedere in una fase precedente a lei sfavorevole della lotta di classe. Questa prerogativa appartiene solo ai detentori del potere politico perciò, la proprietà delle classi dominanti, non è solo quella dei mezzi materiali di produzione, dell’arte e della cultura, ma dello Stato e delle sue istituzioni, che le classi dominanti stesse hanno fondato per sé a proprio esclusivo vantaggio. In epoca moderna la classe dominante è la borghesia, mentre la classe subalterna e maggioritaria è il proletariato ( coloro che non hanno capitale da investire ) e che vendono il loro lavoro in cambio di uno stipendio, un salario o un cottimo. Diversamente dalle epoche passate, o ancora oggi, nei paesi dove ancora non vige un regime democratico liberale, il dominio veniva e viene tuttora esercitato tramite la pura brutalità. Da noi invece si cerca di usare dei sistemi apparentemente democratici e più sofisticati come il controllo dei media; ma la sostanza non cambia. Alle classi subalterne viene lasciata la possibilità, nella migliore delle ipotesi( se l’economia va bene) di sopravvivere nell’illusione di essere liberi, sempre che questa libertà concerni scelte compatibili e remunerative per la classe dominante ( la società dei consumi). In sostanza viene riconosciuta al popolo la dignità degli animali che altro non fanno che mangiare, dormire, giocare e riprodursi, mentre il padrone tutto decide delle loro inconsapevoli vite. In altre parole, non è solo della ricchezza materiale che il popolo viene privato ( quella se potessero i padroni, in parte, sarebbero disposti a condividerla) ma della capacità, unicamente umana, della creatività e quindi della facoltà (con la collaborazione sociale), di contribuire alla trasformazione della materia e della vita ( propria e degli altri) tramite il lavoro. Per questo possiamo dire che uno degli obbiettivi del socialismo è restituire ad ognuno il proprio lavoro.

Marcegaglia Forlì: analisi della situazione dopo il REFERENDUM aziendale

Cari compagni, l’analisi che è emersa dal referendum è che quella “ipotesi d’accordo” è stata bocciata! E’ stata bocciata e basta! Per tutta una serie di motivi che rendono incompleta e indigesta una proposta che l’azienda si era riservata di definire…di PRENDERE O LASCIARE! Gli e l’abbiamo lasciata! Senza piangerci sopra, tranquilli! Sappiamo che in questo momento i ritmi produttivi registrano un ristagno e questo serve a noi per tirare il fiato e riportare la pentola in ebollizione per settembre. Vedrete che quando torneremo dalle ferie avremmo l’occasione per fargli sentire il nostro peso, perché un contratto aperto è un peso per noi, ma lo è anche per loro! Se abbiamo aspettato tanto, non vuol dire che ci deve andare bene un MEZZO accordo perché siamo presi dalla stanchezza…a maggior ragione se abbiamo aspettato tanto abbiamo il DOVERE. una volta in gioco, di OSARE e ottenere ciò che meritiamo per ciò che tutti i giorni facciamo là dentro!
CHI LOTTA PUO’ VINCERE, CHI NON LOTTA HA GIA’ PERSO! Sia Chiaro!

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