Contro elettoralismo ed astensionismo.
L’elettoralismo quindi proviene dall’alto, dalle classi dirigenti e diffonde l’illusione che qualsiasi governo eletto è l’espressione della volontà popolare maggioritaria.
L’astensionismo invece proviene dal basso, da qual misto di stupidità e saggezza che risiede nell’immaginario e nelle tradizioni dei ceti popolari.
Infatti, le risposte alla domanda: perchè non vai a votare?, sono quasi sempre le stesse: “ Perché, tanto fanno quello che gli pare”, oppure “Perché tanto non cambia niente”, o anche “ Perché non me ne frega niente e non ci capisco niente”.
Insomma è la fiera dei luoghi comuni e i luoghi comuni vanno combattuti spietatamente perché stanno alla base del qualunquismo e del populismo ma, tuttavia, in essi risiede una parte di saggezza popolare che non può essere ignorata. L’astensionismo però anche, in quanto prodotto popolare, è un sottoprodotto dell’elettoralismo e quindi ad esso funzionale.
Visto che la maggioranza degli astensionisti è parte delle classi subalterne, cioè quelli per cui: se vince questo o quello, per loro, è materialmente indifferente, la classe dominante e i ceti medi possono giocarsela tra di loro.
In sostanza i sistemi elettorali, specialmente quelli maggioritari (in vigore in quasi tutti i paesi), sono fatti apposta per tener fuori dal potere ( tramite l’astensionismo ) gli interessi popolari; del resto non potrebbe essere diversamente visto che il sistema è concepito proprio per questo.
Elettoralismo e astensionismo sono evidentemente complementari nel sistema elettorale degli Stati Uniti, dove un presidente può essere eletto con il 20 per cento dei voti (effettivo) rispetto agli aventi diritto. Ed è qui che la perversione del rapporto fra elettoralismo ed astensionismo raggiunge il massimo, ma ciò viene considerato normale e l’astensionismo viene giudicato come una scelta di libertà:”la vera libertà è anche quella di non votare”; ci mancherebbe!
Tuttavia se per ipotesi dopo ogni elezione la realtà cambiasse davvero? L’astensionismo sarebbe di certo estremamente ridotto.
Il nostro sistema elettorale e tutti i sistemi elettorali borghesi sono prevalentemente maggioritari, ma esiste la possibilità che si possano riformare in senso proporzionalista e in questo caso l’astensionismo si riduce di molto e svolge un ruolo minore di garanzia del sistema (la tenuta del governo ne risente).
La storia dei paesi in cui è stato in vigore un sistema proporzionale dimostra, che questo sistema, pur garantendo la rappresentanza delle minoranze, tende a sopravvalutare il potere riformatore del voto accentuando di conseguenza l’illusione elettoralistica.
Vuol dire che a un sistema elettorale in larga parte proporzionale, come c’è stato nel nostro paese fino al 1993, viene concesso di esistere solo in via provvisoria e a condizione che la maggioranza di governo sia sempre l’espressione della borghesia (la DC fu al governo in Italia ininterrottamente dal 1948 fino alla fine della I Repubblica).
Perciò, pur preferendo il sistema elettorale proporzionale perché concede l’accesso nelle istituzioni anche ai partiti operai che col maggioritario ne resterebbero esclusi, è illusorio credere che sia uno strumento risolutivo a vantaggio del proletariato contro la borghesia.
Insomma non è con le elezioni che può avvenire un cambiamento sostanziale a vantaggio delle classi lavoratrici ma, nemmeno con l’astensionismo, si può pensare di minacciare in qualche modo il sistema.
Per i partiti rivoluzionari, cioè che si pongono il problema di cambiare radicalmente il sistema politico ed economico, agire all’interno di un sistema elettorale formalmente democratico ma sostanzialmente autoritario è, ed è sempre stato, un problema di non poco conto. Si tratta di saper utilizzare a vantaggio delle classi lavoratrici un meccanismo concepito per tenerle fuori dal potere politico. Occorrono idee molto chiare onde evitare delusioni ed illusioni e, così, concedere agli avversari politici le armi del discorso elettoralista : “ Ma dove volete andare che siete l’uno per cento?” , oppure quelle del discorso astensionista: “ Potevate fare qualcos’altro piuttosto che presentarvi alle elezioni per prendere l’uno per cento!”.
Si tratta di imparare ad usare le elezioni borghesi in maniera del tutto originale, cioè come un’opportunità per diffondere e far conoscere fra le masse lavoratrici il programma rivoluzionario che non è compatibile con questo tipo di sistema: economico, politico, sociale e quindi, ovviamente, nemmeno con questo sistema elettorale.
E’ innegabile che il suffragio universale è stato una grande conquista per le classi popolari ma, con le nuove psicotecnologie pubblicitarie, i possessori dei media possono fortemente influenzarne gli esiti e ciò dimostra che nessuna conquista democratica, in questo sistema, può essere definitiva fino a che, auspicabilmente, le classi lavoratrici non avranno preso il potere.
La lotta per il potere politico si risolverà per vie e in luoghi diversi ed estranei alla contesa elettorale ma: fino a che il sistema politico borghese manterrà, più o meno solidamente, l’egemonia politico-sociale, la questione elettorale sarà la cartina tornasole della capacità delle forze antisistema di proporsi alle classi lavoratrici e, relativamente, del livello di coscienza politica delle masse.
In conclusione, deve risultare ovvio e far parte del patrimonio culturale dei rivoluzionari, che il terreno del confronto elettorale non è quello ad essi favorevole. Praticandolo, oggi più che mai, essi scendono nel campo privilegiato dagli avversari e quindi (specialmente nelle elezioni amministrative) occorre valutarne la funzionalità rispetto allo sviluppo della lotta di classe e della coscienza politica delle classi lavoratrici. Altrimenti, si rischia di ottenere l’effetto boomerang di rendere confuso e incomprensibile lo scopo e il programma del partito rivoluzionario annullando così lo scopo primario della presentazione elettorale.
BELLISSIMO complimenti compagno falanghiste … madda