Enti locali in crisi per speculazione finanziaria
Un conflitto tra municipalità e banche sta avendo luogo nei tribunali italiani in merito alla sottoscrizione da parte delle autorità comunali e regionali di strumenti finanziari derivati. Il caso espone il precario stato della finanza pubblica e la collusione tra classe dirigente e le istituzioni finanziarie. Le autorità hanno dato vita ad irresponsabili transazioni che hanno portato in bancarotta le casse pubbliche, in pratica trasferendo ingenti perdite sulle spalle della classe lavoratrice.
Tra il 1995 e il 2008, gli amministratori locali, compresa l’amministrazione sanitaria pubblica e le agenzie di trasporto, hanno utilizzato fondi pubblici per acquisire strumenti derivati e simili titoli finanziari, presumibilmente adescati da istituzioni finanziarie con promesse di riduzione dei costi sui prestiti. Sono stati riportati casi in cui le banche hanno nascosto commissioni o imposto agli enti di comprare derivati al fine di ottenere prestiti.
I derivati sono contratti o strumenti finanziari, il cui valore è derivato dal valore di qualcos’altro. Oggi gli strumenti derivati sono diventati sempre di più forme esotiche di speculazione, in quanto sono sempre meno basati sullo scambio di merci. Nel caso dei credit default swap (CDS), per esempio, le scommesse possono essere fatte sulla solvibilità di una ditta, o addirittura di una nazione.
Al fine di premunirsi contro le variazioni dei tassi di interesse praticati dalle banche sui loro prestiti, molte amministrazioni locali hanno fatto accordi di swap, in definitiva nascondendo le nuove forme di indebitamento. Si stima che oltre 600 comuni italiani ne siano coinvolti.
L’importo totale di questa esposizione non è noto, data la natura dei derivati e dei molti mercati non regolamentati su cui sono negoziati. Tuttavia stime parlano di un totale di prestiti da parte dei comuni pari a € 36 miliardi del 2008, cioè all’inizio della crisi finanziaria innescata dal collasso di Lehman Brothers.
Molte amministrazioni locali sono sull’orlo della bancarotta, una situazione aggravata dai tagli massicci che il governo italiano ha recentemente adottato attraverso la Legge di Stabilità, che taglia € 11,6 miliardi di spesa sociale. Nei casi più disperati, consiglieri comunali e sindaci hanno fatto ricorso alla vendita di beni al fine di mantenere la solvibilità.
Sebbene questi numeri siano destinati a crescere considerevolmente, fino ad ora ci sono almeno 20 indagini penali in corso, oltre a circa 40 denunce in cui gli amministratori locali stanno tentando di invalidare i contratti derivati e i relativi costi di cancellazione. La città di Rimini, lo scorso ottobre, ha vinto una causa in tribunale su pagamenti di cedole dovute a UniCredit.
Tuttavia, questa non sarà la regola. Secondo ForexPros, un sito finanziario specializzato, molti comuni sono già così economicamente devastati che non possono nemmeno permettersi un avvocato, per non parlare di un consulente finanziario.
L’intero establishment italiano è coinvolto. La città di Milano si trova in una debacle di € 1.700.000.000, con la Depfa Bank, Deutsche Bank, JPMorgan e UBS accusate di frode. Altri casi significativi riguardano le regioni di Lazio, Piemonte e Toscana, nonché i comuni di Torino, Pisa, Verona, Carrara, Teramo, Fermo, Genova, Reggio Calabria, Biella, Firenze, Benevento e Pistoia. Sono coinvolte sia amministrazioni di destra che di “sinistra”.
Inoltre, molte cause porranno inevitabilmente la questione della competenza giuridica. Molti derivati si basano su termini stabiliti dall’ISDA (International Swaps and Derivatives Association, Inc.), che sono regolati dal sistema giudiziario di Londra. Questo vale anche per i molti casi in Germania e in Francia, dove sempre più amministrazioni locali si stanno trovando in situazioni simili.
In un articolo intitolato “Sicurezza nazionale e supporto agli Enti locali”, il sito di intelligence Gnosis ha osservato: “La vulnerabilità della situazione attuale è elevata: improvvisi default da parte degli Enti locali sottoscrittori (causati da insolvenze o mancate consegne) potrebbero determinare effetti negativi (in termini di problemi di liquidità o creditizi) e comportamenti di panico a catena, gravemente pregiudizievoli per la stabilità della finanza pubblica non solo locale, ma anche nazionale”. E aggiunge, “L’intreccio economico-finanziario generato dalla massa di contratti derivati attualmente in essere è suscettibile di determinare un rischio sistemico afferente la sicurezza economica-finanziaria dello Stato”.
Il quadro giuridico che ha permesso questo sviluppo è il prodotto di una spinta sistematica da parte di governi sia di destra che di “sinistra” i quali hanno progressivamente eliminato quelle restrizioni istituite nel dopoguerra sulle amministrazioni locali e il loro coinvolgimento nel settore bancario, assicurativo e nei mercati finanziari.
Una serie di disegni di legge-sia sotto i governi Berlusconi I (Legge Finanziaria 1995) e Berlusconi II (Legge Finanziaria 2002 e decreto 389/2003) che sotto il governo di “sinistra” di Prodi (Legge Finanziaria 2007 e 2008), che comprendeva l'”anticapitalista” Rifondazione-hanno permesso alle amministrazioni locali di ricorrere a capitali privati per finanziare i loro investimenti, aprendo le porte agli strumenti derivati e alla speculazione.
Dietro a questi disegni di legge una figura ha svolto un ruolo particolarmente rilevante, Giulio Tremonti, attuale Ministro dell’Economia e delle Finanze, che viene considerato da sezioni della borghesia come probabile successore del primo ministro Silvio Berlusconi. Ha occupato la stessa carica in ogni governo Berlusconi ed è stato il principale fautore di queste iniziative. Fa da ponte tra la destra e la “sinistra”, dato il suo passato di affiliazione al Partito Socialista (PSI) e all’ex primo ministro Bettino Craxi, così come la sua esperienza di scrittore per il quotidiano radical piccolo-borghese Il Manifesto.
Tremonti ha sempre considerato il sistema bancario italiano perfettamente sano. L’anno scorso, quando l’Irlanda ha dovuto affrontare una crisi finanziaria che ha quasi mandato in bancarotta il paese, ha elogiato le banche italiane per aver limitato la loro esposizione “solo a € 22 miliardi. Siamo i meno esposti, gli altri hanno un’esposizione enorme”.
La scorsa estate, lo stress test delle banche italiane è stato utilizzato per nascondere ulteriormente il vero stato delle istituzioni finanziarie. In tale occasione, egli ha detto: “Nel complesso, i risultati confermano la capacità delle banche italiane di assorbire l’impatto di un significativo deterioramento delle condizioni macroeconomiche e di mercato”.
Ora Tremonti, il principale architetto di questo castello di sabbia, che nel 2008 fu costretto a sospendere alcune delle disposizioni che hanno permesso agli amministratori locali di trattare derivati, sta promuovendo un attacco a ciò che lui definisce “doping finanziario”. Accusando soprattutto i banchieri tedeschi, ha dichiarato: “L’attuale crisi non è solo una crisi dei debiti pubblici ma anche della finanza privata, delle banche (…) in questi 10 anni alcuni paesi sono cresciuti molto drogati dalla finanza”. I tedeschi, spiega “hanno quote enormi di deroghe alle norme UE”
La pretesa che l’establishment italiano sia l’unico immune alla speculazione finanziaria è assolutamente falsa. Nella debacle attuale che coinvolge i comuni, per esempio, banche italiane come Unicredit e BNL-BNP sono altrettanto coinvolte come le altre. Ci sono diversi motivi per cui Tremonti sta cercando di diffondere questa assurda idea di eccezionalismo del sistema finanziario italiano.
In primo luogo, è un tentativo di nascondere la gravità della crisi che sta attraversando l’economia italiana. Con un tasso di crescita anemico nel quarto trimestre 2010 di solo lo 0,1 per cento secondo quanto riportato dall’OCSE, Tremonti ci tiene a difendere il sistema bancario italiano come baluardo dell’ortodossia finanziaria.
In secondo luogo, la promozione di sciovinismo anti-tedesco di Tremonti è una misura delle tensioni internazionali che stanno crescendo all’interno dell’Unione Europea. Tremonti sta cercando di limitare la pressione dei mercati finanziari sulla situazione italiana e difendere spazi di manovra fiscale da parte dello stato, ma solo nell’interesse della aristocrazia finanziaria. Il suo obiettivo è quello di dare a tale elite maggiore latitudine per effettuare massicci tagli alla spesa sociale. I tagli saranno l’inevitabile risultato di una politica capitalista che lascia intatte le fortune dei ricchi-soprattutto in considerazione del gigantesco debito italiano, che ammonta a quasi il 120 per cento del PIL.
In terzo luogo, Tremonti sta cercando di nascondere la propria responsabilità in questa vicenda. Ha contribuito a istituire il sistema stesso che ora sta denunciando-in particolare con il suo decreto 389, scritto nel 2003, in cui ha consegnato la supervisione delle operazioni di strumenti derivati da parte degli enti pubblici alle agenzie internazionali di rating. Queste agenzie, tuttavia, si sono rivelate del tutto inaffidabili, in quanto molte di esse hanno finito per dare a beni ipotecari privi di valore il più alto rating AAA.
Il WSWS ha parlato con Marco Tedone, un consulente finanziario con sede a Roma che ha offerto consulenza sui derivati a vari enti. A suo parere, “ci sono modelli derivati che possono mettere il cliente in una condizione di perdita. Se il cap o il floor sono troppo alti o troppo bassi rispetto all’andamento reale delle tariffe e non si ha familiarità con questi termini, senza la consulenza di un esperto si corrono grossi rischi”.
Tedone spiega che: “i derivati sono una massa finanziaria che si muove, ma non corrisponde all’economia reale. Essi si basano sul concetto che si sta costruendo su future opzioni di acquisto o vendita, ma che tuttavia stanno scaricando un debito sulle generazioni future, visto che a volte sono operazioni a 20 anni”.
“È difficile valutare il reale impatto di questo fenomeno per l’economia dello stato, visto che molti amministratori locali prendono il loro tempo per reagire alla situazione, sperando forse in qualche soluzione legislativa. Tuttavia in base alla mia esperienza vedo grosse difficoltà. Si parla di federalismo, ma fondamentalmente stanno dividendo il nord dal sud. Parlando con gli amministratori, non vedo alcuna stabilità nei loro libri contabili, al contrario ho percepito sofferenza e difficoltà”.
Egli ha poi osservato, “ci sono molte persone, inclusi capi di stato, che non sanno cosa sia un derivato. Al di là dello strumento in sé e i rischi finanziari, ci sono notevoli implicazioni sociali”.
Il presente reporter ha contattato uno svariato numero di amministrazioni locali chiedendo un’intervista. Nessuna risposta è mai pervenuta.