Sul diritto all’insurrezione nella tradizione borghese rivoluzionaria
Anche domani saremo in piazza… ma, come sempre da rivoluzionari. Nota sulla manifestazione per la Costituzione.
Uno dei luoghi comuni propri del togliattismo e del nennismo, ereditati dalla “sinistra radicale”, è quello di ritenere la Costituzione del 1948 “la più avanzate fra le costituzioni democratico-borghesi”. Niente di più falso. Si tratta di una vera e propria deformazione storica in cui stalinisti e socialdemocratici sono maestri.
Sul piano storico è una falsità perché la costituzione del ’48 è il compromesso fra la borghesia italiana nell’epoca della decadenza avanzata della borghesia e le direzioni stalinista e socialdemocratica del movimento operaio italiano che, ubbidienti agli accordi di Stalin con Churchill e Roosevelt, imposero alla classe operaia in armi di limitarsi ad una democrazia parlamentare borghese. Invece di lottare per imporre la propria dittatura rivoluzionaria, la classe operaia dovette accontentarsi di una carta costituzionale che, secondo gli stessi togliattiani e nenniani, di ieri e di oggi, “non è stata mai applicata”.
Sul piano teorico la costituzione del 1948 non regge il confronto con le costituzioni della borghesia rivoluzionaria ed, in particolare, con quella dell’anno I della repubblica francese più nota come costituzione giacobina. In quella Costituzione la borghesia rivoluzionaria raggiunse lo zenith della democrazia politica perché nell’articolo 35 della Dichiarazione, che elenca i principi fondamentali, è compreso il diritto all’insurrezione.
“Quando il governo viola i diritti del popolo, l’insurrezione è per il popolo e per ciascuna parte del popolo il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri”. Nell’art. 27 si afferma che “ogni individuo che usurpa la sovranità sia all’istante messo a morte dagli uomini liberi”. Gli avversari del giacobinismo hanno sempre cercato di confondere il diritto all’insurrezione con il tirannicidio. Il tirannicidio è una teoria propria dell’aristocrazia che prevede l’azione individuale o di piccoli gruppi ed esclude l’azione delle grandi masse. Per i giacobini, i democratici borghesi più coerenti, il diritto all’insurrezione deriva dalla stessa sovranità popolare, dalla democrazia:
“ La democrazia – scrisse Robespierre – non è uno stato in cui il popolo, riunendosi di continuo, regola tutti gli affari pubblici; ancor meno è uno stato in cui centomila gruppi politici popolari, con provvedimenti scoordinati, precipitosi, decide il destino di un’intera società. La democrazia è uno stato in cui il popolo regna sovrano facendo da sé per quanto è possibile e servendosi di delegati laddove non è in grado di fare da solo”
L’art. 35 e l’art. 27 della costituzione giacobina sono dettati dal sano realismo rivoluzionario dei robespierristi consapevoli che, anche, nei migliori regimi democratici, quando manca il protagonismo delle masse, questa diventa puro formalismo e si spiana la strada alla “violazione dei diritti del popolo”.
Togliatti e Nenni, ai quali interessava, solamente, ritagliarsi uno spazio politico nei giochi del parlamentarismo corrotto, si guardarono bene dal battersi per introdurre nella costituzione italiana il diritto all’insurrezione.
C’è, però, un punto che i togliattiani di oggi dimenticano. Nel documento in cui viene sistematizzata la “via italiana al socialismo” (Elementi per una dichiarazione programmatica del Partito Comunista Italiano-VIII Congresso), è scritto che:
“L’insurrezione armata è un atto a cui la classe operaia e il popolo possono essere costretti dalla patente violazione della legalità e dal ricorso alla violenza da parte delle classi dirigenti capitalistiche nella difesa ostinata dei loro privilegi e per distruggere la democrazia”.
La storia dello stato italiano è uno sequenza continua di violazioni della legalità e di violenza delle classi dominanti da Portella delle ginestre alla mattanza di Genova del luglio 2001.
Chi si riempie la bocca sulla difesa della costituzione italiana dovrebbe ricordarsi che l’attentato riuscito alla costituzione ed in particolare all’art. terzo (“ compito della repubblica è quello di rimuovere gli ostacoli di natura economica e sociale”) lo hanno compiuto i capi del centro-sinistra da Amato a Prodi che hanno avviato le sciagurate privatizzazioni dell’industria pubblica.
Ormai anche i ciechi e i sordi lo hanno capito che Berlusconi sarà cacciato solo una sollevazione popolare perché chi ha prosperato nel parlamentarismo corrotto come i capi del centrosinistra sa solo guaire, neanche abbaiare.
Gian Franco Camboni
sezione provinciale di Sassari
Partito Comunista dei Lavoratori