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L’alleanza nazionale


di M.Bartocci il manifesto- Più che baciare il rospo, stavolta l’ha proprio ingoiato. Nichi Vendola conferma di prendere «molto sul serio lo spirito di chi nel Pd propone una coalizione allargata» a Gianfranco Fini. Al punto che la fa direttamente sua. Con un distinguo: la guidi una democratica come Rosi Bindi e non un tecnocrate moderato o neo-liberista. La proposta di Vendola è stringata: un governo di scopo transitorio da Fini a Di Pietro che cambi la legge elettorale, risolva il conflitto di interessi e garantisca il pluralismo informativo. Poi tutti nemici come prima, Fini a destra e il centrosinistra per la sua strada. L’unica condizione è che non si possono «affidare le redini di questa ‘grande coalizione’ a Mario Monti o a Luca Cordero di Montezemolo».
La svolta «frontista» del presidente pugliese lascia attonita la cosiddetta «base» e lascia freddo anche il Pd. Certo, il feeling tra Bindi e Vendola non è una novità. La stessa presidente del Pd a settembre alla festa di Torino disse che «su certe cose vado più d’accordo con lui che con persone del mio partito». Ma l’ipotesi di una sua candidatura non è nelle cose. «Lo ringrazio per le parole di stima ma noi dobbiamo ripartire dalla politica, senza condizionare il nostro confronto con nomi e candidature, come dimostra lui stesso facendo un passo indietro». Poi porge il suo tiepido benvenuto nel campo dei responsabili: «Finalmente Vendola riconosce che c’è bisogno di una larga coalizione democratica, di responsabilità nazionale. Il Pd lo sostiene da tempo».
Più algido ancora Massimo D’Alema sul Tg3: «Voglio ringraziare Nichi Vendola per aver indicato una persona di grande valore come Rosy Bindi. Naturalmente, visto che si parla di una grande coalizione, il candidato deve essere concordato e non imposto da nessuna parte». Saluti e baci, accomodati in panchina e addio «Obama bianco».
Perfino sul profilo Facebook del governatore i commenti sono discordi. Nessun problema su Bindi ma certo archiviare due anni di «narrazione» basata su primarie, cambiamento e «cantiere dell’alternativa» lascia basiti i più. Improvvisamente la fine del berlusconismo diventa una questione emergenziale. Politicista. E non invece il frutto profondo di un paese, appunto, che cerca un’altra «storia».
La «svolta» vendoliana nasce da una difficoltà condivisa almeno con la sua cerchia ristrettissima con l’imprimatur di Fausto Bertinotti. Per sfuggire alla «trappola» di un governo emergenziale ma in realtà tutto politico e iper-moderato, ecco la classica «mossa del cavallo». Ricordando gli incubi del ’98, il timore di farsi massacrare in caso di vittoria di Berlusconi per la mancata alleanza, meglio intestarsi l’apertura a Fini e Casini ma candidando la Bindi, in modo da massimizzare le divisioni nel Pd. Tatticismo allo stato puro. Un’apertura a Fini peraltro nel giorno in cui i finiani spariscono perfino dal senato.
Fini alleato di Vendola è «sconcertante», «un’armatina Brancaleone», gongolano nel Pdl. Un’ipotesi che o è un bluff e spera nel no del «terzo polo» oppure è come minimo di impervia attuazione. Un consiglio dei ministri aperto a Tremaglia, alla Binetti o allo sponsor dell’acqua privata Andrea Ronchi può far sorridere. Ma chiedere i voti per tornare a votare dopo un anno è una proposta demenziale. Senza contare che Pd e Idv interpretano la «mossa del cavallo» come una rinuncia di Vendola sia alle primarie che alla premiership. (…)

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