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Dove guardare?

«C’è un grande fatto caratteristico di questo nostro XIX secolo, un fatto che nessun partito osa negare. Da un lato sono nate forze industriali e scientifiche di cui nessuna epoca precedente della storia umana ebbe mai presentimento. Dall’altro esistono sintomi di decadenza che superano di gran lunga gli orrori registrati durante l’ultimo periodo dell’impero romano. Ai nostri giorni, ogni cosa appare gravida del suo contrario. Macchine, dotate del meraviglioso potere di ridurre e rendere più fruttuoso il lavoro umano, fanno morire l’uomo di fame e lo ammazzano di lavoro. Le nuove sorgenti della ricchezza sono trasformate, da uno strano e misterioso incantesimo, in sorgenti di miseria. […] gli operai […] sono l’invenzione dell’epoca moderna quanto lo sono le macchine stesse. Nei segni che confondono la classe media, l’aristocrazia ed i miseri profeti del regresso, riconosciamo il nostro vecchio amico Robin Goodfellow, la vecchia talpa che sa scavare la terra tanto rapidamente, il valoroso pioniere: la rivoluzione.»
K.Marx

Rispetto a solo ad alcuni anni fa, prima della crisi, si sta diffondendo fra le masse popolari un senso di sfiducia nelle istituzioni politiche dello Stato che, per ampiezza, ha precedenti solo nel periodo a cavallo degli anni sessanta ma con caratteristiche molto diverse.
Innanzitutto che la crisi non aveva, allora, l’ampiezza di quella attuale ma segnava il passaggio (che sarebbe durato un quindicennio) fra il modello produttivo di tipo fordista-teylorista, a quello toyotista, cioè: da una fabbrica che accumula il prodotto in attesa di venderlo, a una fabbrica che produce praticamente su ordinazione.
Per far questo il padronato doveva riallocare (licenziando) una buona parte della manodopera dalla grande fabbrica verso una miriade di nuove piccole imprese subfornitrici con relativo abbassamento dei costi di produzione.
Ma le ragioni del padronato non erano solo di carattere produttivo ma coscientemente rivolte ad una frammentazione della classe operaia e alla trasformazione di una parte di questa (quella più specializzata) in piccoli imprenditori artigiani e in manodopera a basso costo e senza diritti (le imprese artigiane non hanno mai avuto l’obbligo della giusta causa per licenziare).

La classe operaia di allora però non era quella di oggi, veniva da grandi lotte e conquiste sociali; la vittoriosa lotta antifascista era ancora viva nelle coscienze dei proletari.
Fu solo grazie all’alleanza con il Partito Comunista Italiano e con la sua burocrazia sindacale, verso il quale riponeva fiducia la maggioranza della classe lavoratrice, che la borghesia (rappresentata in larga parte dalla DC) uscì vincitrice da quello scontro che durò diversi anni.
Quella stagione non fu segnata solo da grandi movimenti operai ma dal movimento studentesco, da quello femminista e da diverse formazioni politiche di estrema sinistra che proponevano e lottavano per modelli di società diversi dal capitalismo ma, spesso, ideologicamente opposti fra loro.
Se si aggiunge la disastrosa esperienza dei vari gruppi di lotta armata, appare chiaro che non esisteva un progetto politico in grado di riunificare le immense forze sociali disponibili alla lotta.
Fu dunque una lotta frammentata, ideologicamente condizionata dai vari modelli di stalinismo e socialdemocrazia da una parte e da idealismi radicali lontani dalla cultura delle masse dall’altra.
La sconfitta in questo contesto fu inevitabile.
Quel decennio (chiamato ’68) fu, dunque, sicuramente una rivoluzione sociale ma non economica e politica e perciò finì per essere funzionale alla modernizzazione e restaurazione capitalistica che poi non ebbe più freno.

Da allora il vuoto; almeno trent’anni di totale supremazia del capitale con l’avanzata delle destre fino ad oggi, con il paese sull’orlo del baratro di una crisi la cui fine non vede nessuno.
La storia comunque non ci pone mai davanti ad una sola prospettiva e può accadere che gli elementi che nel passato costituivano la forza della rivolta sociale, ora assumano una valenza negativa e viceversa.
Negli anni settanta la società era estremamente politicizzata e questo era un bene ma nel contempo era anche rigidamente divisa in contenitori politici impenetrabili. Per esempio era praticamente impossibile uno spostamento significativo di consenso elettorale e di militanza dal P.C.I al l’estrema sinistra e viceversa.
Oggi, l’arretramento di coscienza delle classi lavoratrici ci mette di fronte ad una problematica ripartenza da zero (per ricostruire l’autonomia politica delle classe lavoratrice), ma ci permette anche di proporci meglio e più liberamente all’interno della classe lavoratrice medesima.
Per questo se dobbiamo ispirarci all’esperienza di qualche periodo storico è inutile e dannoso guardare soltanto al pietrificato passato più recente della nostra storia (come sinistra e movimento operaio ) ma bisogna andare più indietro nel tempo, quando la situazione assomigliava di più a quella presente.

Non è quindi una questione di “arretratezza nostalgica” ma di analisi economica e sociale che ci fa vedere la situazione attuale, per molti versi, simile a quella esistente agli inizi del secolo scorso: all’indomani di storiche sconfitte dei movimenti rivoluzionari (la comune di Parigi in particolare) e vicini alla grande guerra e alla crisi economica del ’29.
L’ideologia reazionaria sostiene che la storia si ripete sempre uguale guardando la ripetitività dei comportamenti umani slegati dal progresso sociale. Gli idealisti , credono nel cambiamento della sola coscienza senza rivoluzionare i rapporti di produzione. I rivoluzionari prendono l’uomo per quello che è, senza illusioni morali o metafisiche, ma con la certezza che, in determinate condizioni di giustizia ed eguaglianza materiali, può essere migliore.

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